Pare che non so quale ente dell’Unione Sovietica l'abbia valutato “di difficile comprensione”. Anche il più antisovietico degli spettatori non potrà non convenire con tale definizione, visto che l’analisi introspettiva dei rapporti di Tarkovskij con la madre prima, poi con la moglie, sono totalmente incomprensibili per lo spettatore (che assiste al film in uno stato di totale sbalordimento), che si fa ben presto orchiclastia pura. Dobbiamo dire che però ci sono belle immagini? Diciàmolo pure...
Deludente film di Tarkovskij caratterizzato da una sceneggiatura farraginosa e poco chiara, da un'eccessiva verbosità e da pesanti simbolismi piuttosto gratuiti ed inutili (oltre che davvero incomprensibili). Inoltre rispetto ad altre opere del maestro russo mancano anche il lirismo e lo splendore visivo. Solo per gli affezionati del regista, ma sarà arduo da digerire anche per loro.
L'Amarcord russo di Tarkovskij. Si fa fatica a capire ogni passaggio se non conoscendo molto bene la storia del regista (il protagonista è suo alter ego). Realizzato nel suo periodo di malattia, avendo molto tempo per pensare si tuffò nei suoi ricordi. Largo uso di materiale di repertorio. Per alcune scelte, vira decisamente sull'horror. Rimane un prodotto di difficilissima comprensione e ciò vale per tutti, tranne che per lo stesso regista. Forse un film decisamente troppo personale.
Trincerato in un estenuante ermetismo, forte di un'indiscutibile bellezza formale, disseminato d'indizi e rifrazioni, il film, aldilà del lambiccato (e vano) lavorio intellettuale, non approda ad emozione alcuna. Se i volti, le identità e i gesti sono frammenti di uno specchio capace di riflettere l'unicum panteistico che riposa all'ombra degli alberi, allora questo film ne è solo la cornice solenne e farraginosa: uno scompaginato, lirico, contenitore d'istanze private e rimandi culturali inesplicabili. Pompose le poesie del padre; assolutamente aleatori e nominali i rimandi a Dostoevskij.
Pur se molto ambiguo e a tratti incomprensibile, lo reputo un lavoro minore di Andrei Tarkovsky. La vita del protagonista viene vista sia da figlio che da marito divorziato e devo dire che coinvolge abbastanza, aiutata anche dalle belle immagini. La Terechova è la migliore del cast. Da rivedere più volte...
Splendidamente girato, ricco di immagini suggestive e con un gusto per la messa in scena davvero fuori dal comune, il film ha il suo piú grande limite nell'estremo ermetismo della trama che resta troppo introspettiva e personale, lasciando il pubblico alla porta nelle considerazioni private del regista che mostra ma non spiega. Rimane un affresco vivido, commentato da musiche coinvolgenti e visionarietà autoriale.
Difficile, difficilissimo giudicare "Lo specchio", soprattutto perché è complicato stabilire i parametri iniziali. Quali dovrebbero essere? La storia, la regia, entrambe? E se in un caso si volesse privilegiare l'uno in luogo dell'altro, sarebbe davvero un delitto? Una natura morta è incompleta per la limitatezza (voluta) della rappresentazione? Diciamo che la valutazione risente della fruibilità del film, ma si rende disponibile a guardare oltre il voto matematico e a ribadire, se mai ce ne fosse bisogno, l'estasi visiva che il film mostra.
Un uomo che si sta lasciando morire rievoca gli anni dell'infanzia, il difficile rapporto con la madre e con la moglie (impersonate dalla stessa attrice), quello con il figlio... Fra sequenze oniriche, filmati di repertorio, citazioni letterarie e pittoriche, un labirinto in cui pare vana la ricerca del filo di Arianna, dato che T. tiene nascosto in una mano il gomitolo. Film certo intimo e sentito, come dimostra la partecipazione della vera madre del regista, ma troppo chiuso in se stesso, per cui il disorientamento prevale sulla fascinazione. L'insostenibile pesantezza dell'essere (russo).
Il temporale del temporale. Ovvero il diluvio dei ricordi, l'orizzonte degli eventi che si fa stringa quantistica sul letto di morte, un'angina incurabile che cripticamente prelude a nostalgie successive. Dura molto meno di altri opus tarkovskijani, ma a prevalere è una densità contenutistica che - tra immagini di folgorante bellezza pittorica, astrattismi concettuali e un ordinamento cronologico delle vicende quantomai libero - può irretire, schiacciare o affascinare irrimediabilmente lo spettatore. Splendido il volto della Terechova.
MEMORABILE: La surreale lettura della lettera di Puskin a Caadaev.
Volutamente astratto e lontano dall'esercizio simbolista, Tarkovsky mescola frammenti d'infanzia a filmati di repertorio, brucia granai nei boschi e disegna delicate geometrie visuali. Un mosaico di ritratti e poesie, che gli occhi sfogliano alla ricerca di armonia. Su tutto aleggia la figura della madre: eterea figura che ci lega all'esistenza, raccontata distaccandosi dalle concilianti strutture narrative impostesi al cinema per più di un secolo. Ci si perde, in questo criptico viaggio metafisico nella memoria/coscienza, uscendone emozionati o annoiati, ma non indifferenti.
MEMORABILE: Gli ellittici piano-sequenza; Le citazioni a Cechov; I ragazzi tra le colline innevate; La Terechova che fuma.
"Smettila con le citazioni e spiegati, non ti capisco". Così la brava Margarita Terechova si rivolge a un altro personaggio a metà film. Lo stesso bisognerebbe dire al regista Tarkovsky, il quale gira un film che tecnicamente è un capolavoro e ha una splendida fotografia, ma è noiosissimo e pieno di prosopopea. I personaggi straparlano, e noi tra un simbolo e l'altro capiamo ben poco. È inutile che lo stile sia impeccabile se poi il regista si tiene distante dallo spettatore quanto Plutone dalla Terra. Cripticità esasperata e fastidiose. Indigeribile. Solo per i fan accaniti.
Frammenti, ricorsi, fotogrammi, episodi passati appartenenti a una vita che non può fare a meno di ritornare indietro, tutto in una sequenza che non non conosce le regole della temporalità. Un film autoreferenziale, insolito, enigmatico, che ha il solo pregio di evocare nello spettatore lo stesso processo di riesumazione, oltre che produrre sbadigli in sovrabbondanza.
MEMORABILE: Le digressioni sulla vita e sulla morte che non conoscono spaccature, interruzioni. Due facce della stessa medaglia.
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