In una famiglia alto-borghese serpeggia il malcontento e nessuno sembra contento di contribuire alla sua facciata di falsa prosperità. Gli intenti sembrano lodevoli (pur se il tema è usuratissimo), ma la loro riuscita sbatte contro un ritmo lento che, procedendo da più propaggini, coagula in una storia fin troppo tortuosa e asfissiante. Spreco di presenze autorevoli come Trintignant e Isabelle Huppert.
Hanekeniano fino al midollo, a partire dal titolo che è sardonicamente ossimorico rispetto al narrato. Anche il contenuto, ricco di ellissi, è tipico dei film del maestro bavarese: un concentrato di pessimismo raro a vedersi che lo rende una delle pellicole più spietate del 2017. Difficile da digerire non solo per ciò che (non) "mostra" (molto avviene fuori campo), per le azioni dei suoi personaggi e la loro freddezza che tracima anche dal solito stile gelido ormai marchio di fabbrica di questo cineasta. Può piacere o meno e sicuramente divide e non poco, ma il suo è "vero" cinema.
Il meglio è passato. Stanca ripetizione dei temi cari al regista in uno scialbo esercizio di stile che nulla aggiunge alla grande (passata) storia del regista. La critica feroce alla borghesia e l'analisi della sua decadenza di fronte al nuovo che incalza sono girate sì con il consueto stile rigoroso, ma in maniera stanca e sciatta e annoiante. Sconsigliato anche ai fans.
Un coacervo di deja-vu sui vizi privati (ma senza pubbliche virtù) di una datata immagine della borghesia, stancamente rivisitata con qualche supporto attualizzante, tra "social", immigrazione e precarietà varie. Il montaggio nervoso e spiazzante non riesce a dare forza a una narrazione priva di dialettica, esasperata e sproporzionata nelle varie fasi rispetto al detto o all'alluso. Un dramma fittizio che non desta nessun interesse né a un livello psicologico e individuale né, tantomeno, a quello sociologico. Il finale da tragico trascolora in comico.
MEMORABILE: Le inutili e noiose incursioni tecnologiche: telefonino e chat; Le confessioni del nonno alla nipote e viceversa; Il pranzo finale.
In una delle prime sequenze, uno smartphone documenta l'assassinio di un criceto, lasciando intuire che si tratta di un test in vista dell'uso su un umano, ossia la mamma della sperimentatrice in erba... Haneke si conferma uno dei registi più cattivi in circolazione: il suo happy end, felice quando erano divertenti i funny games, è un film frustrante per lo spettatore perché allude e non mostra, accenna un discorso e poi lo svia in altra direzione, imbastisce un epilogo drammatico e lo svilisce negandogli ogni tragica grandezza. Cinema sadiano, volutamente respingente ma necessario.
Un'altra bella famigliola altoborghese, tra suicidi tentati e omicidi riusciti ma occultati, tradimenti seriali, una adolescente psicopatica e una glaciale mammina manager che silura il figlio problematico per prepararsi a mollare tutto e andarsene con il malloppo. Però, anche se gli interpreti sono notevoli (sopratutto Isabelle Huppert nel suo ruolo consueto e Jean Luis Trintignant, finto demente che desidera solo la fine), il plot trasuda di già visto. È dall'epoca, ormai archeologica, dei Pugni in tasca che sono proposte queste storie.
Una famiglia ben assortita tra adulteri (con tanto di pornochat), speculatori edilizi, gigli neri e giovani scalmanati per un Haneke decisamente in forma, in grado di girare il coltello nella piaga ritirandolo prima di eccedere, stuzzicando la morbosità dello spettatore ma sterzando sempre verso l'ironia prima di giungere alle estreme conseguenze. Ben interpretato e girato con perizia (si perdona l'abuso del longtake), il film parte lento e lentamente conquista. Dalle parti di Solondz e Festen: meno crudele ma più beffardo.
Tutt'altro che happy end l'addio al cinema di un toccante Trintignant, che presta ancora una volta volto e corpo a una pellicola che si vuole fare sintesi programmatica del cinema di Haneke (oltre allo schermo performante di Benny's video c'è un collegamento esplicito, metacinematografico, con Amour). Per chi conosce il regista, è tutto saputo e risaputo (il solo inserimento della questione dei migranti di Calais regala degli squarci politici nuovi e inattesi). Rimane comunque una buona visione. Finale gelido.
MEMORABILE: L'irruzione dei migranti di Calais al banchetto della buona borghesia.
Mal cavato, goffo e sfocato. Istilla quasi tenerezza (categoria estetica ed emotiva che del tutto evidentemente non farebbe piacere al regista austriaco) vedere l'amato/odiato Haneke annaspare dietro questo insignificante e ulteriore tentativo di derattizzare l'universo borghese. Oltre al bersaglio, deficitarie e spuntate risultano anche le "armi" critiche (interessante ma piattamente didascalico il discorso sui nuovi dispositivi mediatici). Ne vien fuori una congerie di "stripes" da fumetto in cui l'ombra di un filo ironico si palesa nel solo finale.
In una famiglia d'industriali capiterà un incidente sul lavoro. Lavorìo sottile di Haneke nel mostrare, spesso da lontano, la realtà diretta e spietata di un gruppetto borghese. Rigido come stile registico, non lascia interpretazioni e non forza per instillare tensione. Cast adulto notevole e felice la scelta del partner inglese. Qualche inquadratura sui pc e il ruolo del figlio (male nel prefinale) sono le uniche sbavature del racconto.
MEMORABILE: Il numero al karaoke; La frana; Il criceto sotto farmaci; Il racconto di Trintignant alla nipote.
Il cinema impassibile, gelido e sottopelle del Maestro austriaco trova qui un altro buon compimento. Un Benny’s video votato al rosa, ai giorni nostri: questa volta sono gli Eve’s video a dare indizi di cosa c’è dall’altra parte... Ma cosa c’è dall’altra parte? si domanda Eve. Seppur scevro e alleggerito dai micidiali excursus del cinema che fu – trilogia della glaciazione su tutti – rimane un ritratto di un’alienazione “angelica”, embrionale, come fosse la punta dell’iceberg: il risultato di un ambiente familiare sfuggente, vulnerabile, assorto.
Anche Haneke capitola svogliato e sclerotizzato davanti al falso specchio delle sue brame. 71 frammenti di cronoialogia borghese senza fascino né discrezione, il socialismo-wifi ottavo continente che tutto epicizza devitalizza inghiotte rivomita nel Bunuel's video: meglio sarebbe stato occultare tutto di 'sti lupi senza più patti giocosi né amour proprio. Dei falò restano fredde ceneri; di ciò che incendiarono, il fossile di un disfare-rifare cinema che non sembra aver più storie infiammabili, temi piroferi e capacità di ustionare. Una caduta senza dei. Provaci ancora, Mike!
Per inserire un commento devi loggarti. Se non hai accesso al sito è necessario prima effettuare l'iscrizione.
In questo spazio sono elencati gli ultimi 12 post scritti nei diversi forum appartenenti a questo stesso film.
DISCUSSIONE GENERALE: Per discutere di un film presente nel database come in un normale forum.
HOMEVIDEO (CUT/UNCUT): Per discutere delle uscite in homevideo e delle possibili diverse versioni di un film.
CURIOSITÀ: Se vuoi aggiungere una curiosità, postala in Discussione generale. Se è completa di fonte (quando necessario) verrà spostata in Curiosità.
MUSICHE: Per discutere della colonna sonora e delle musiche di un film.
Il film è un sequel di Amour: il personaggi di Trintignant e Huppert sono gli stessi a distanza di qualche anno.
DiscussioneDaniela • 25/03/18 17:18 Gran Burattinaio - 5941 interventi
Rebis ebbe a dire: Il film è un sequel di Amour: il personaggi di Trintignant e Huppert sono gli stessi a distanza di qualche anno.
Giusto e, a mio parere...
SPOILER
il momento più "toccante" di questo Happy end beffardo è proprio quando Georges - interpretato da Trintignat - racconta alla nipotina come ha soffocato la moglie con un cuscino, al termine di Mon Amour.
"Toccante" nel senso etimologico del termine, perché forse l'unico che riesce a suscitare un moto di pietà umana nei confronti dei personaggi di questa famiglia, che Haneke ci mostra con il suo abituale sguardo freddo e distaccato.