La libertà sessuale (o meglio, le gioie dello scambismo) sullo sfondo di un Messico esoticheggiante (nel film un posto immaginario, tipo la Garma delle
Orme) e dalle atmosfere torbide e afose.
Peccato però che Haas si creda Henry Miller, e con la spocchia da regista intellettuale e "raffinato", metta in piedi un quartetto teatraleggiante fatto di dialoghi infiniti, elucubrazioni mentali e teorie sull'amore libero che prendono per sfinimento.
Indeciso se fare un film prettamente erotico o seguire la linea del Paul Schrader di
Cortesie per gli ospiti (ma più che altro le riescono i patinatismi degni di uno Zalman King), Haas si impantana in una farloccata d'autore, che spesso sfiora il ridicolo involontario (su tutti la cintura di castità fatta indossare alla Robins, che mano nei decamerotici), dispensando noia e conversazioni degne del nostro cinema settantiano sulla "borghesia annoiata".
Quindi ci piazza citazioni "colte" letterarie (non manca il Shakespeare di
Sogno di una notte di mezza estate), e derive più "basse" (la cena sensuale a base di piccioni tra Dance e la sua domestica messicana sul modello
Tom Jones, la Lee che si pastrugna sul divano all'aperto-con tanto di visibile eccitazione erettile di Dance, in una sequenza stracult-come la ninfetta di
Emmanuelle sulla foto di Paul Newman, i piaceri proibiti dello strangolamento alla
Impero dei sensi, quì risolta con il piacere onanistico dell'impiccagione-che avrà tragiche conseguenze-, la pagliacciata "pagana" con le bambine conciate che nemmeno
La pelle di satana)
I baci dati alla ragazzina indigena, le foto fatte alla contadinella messicana imbronciata, il gioco dell'uva (
sembrano capezzoli cit.), la stanza da letto cosparsa di mele, Dance che si mangia le arance sull'amaca, nelle grotte a cercar cinture di castità, l'odore di pipì (grande teoria di Dance, che afferma che gli odori forti sono segno di umanità), continui e repentini flashback tra passato e presente che sfumano in un rosso vivo che invade lo schermo, eppoi chiacchiere, tante chiacchiere, troppe chiacchiere (e pochi fatti) che rendono la visione il trionfo del tedio e del pleonastico (Haas fa della sessualità il punto nevralgico del film, ma le scene di sesso vero, alla fine, in tutto il film, sono due e durano una manciata di secondi)
Resta, però, una bellissima e spregiudicata Sheryl Lee, deliziosa e insaziabile dea dell'amore, concentrato di ninfomania e sensualità (le mutandine, l'autoreggente , l'incipit sulla spiaggia dove lei mostra il seno e Dance le chiappe), che regala una sequenza con i piedini sporchi, dove risulta irresistibile anche in pigiama. Haas già a inizio film, fa una carrellata su di lei, mentre legge un libro sul letto-ammirata da Dance-cominciando dai piedini avvolti dalle infradito.
E visto che Haas prende la Laura Palmer lynchiana, si piglia anche Angelo Badalamenti, che firma uno score suggestivo e penetrante, la cosa migliore del film insieme alla Lee (e alle location messicane)
Il resto viaggia su pruderie d'accatto, look da tv movie patinato, intellettualismo da quattro soldi e schermagliette amorose degne di un Harmony.
D'effetto il titolo, ma che di rosso sangue ha ben poco o nulla.