L'ESTATE FRANCESE IN NERO
Che straordinario regista che e Patrice Leconte, sa raccontare una storia crudele e straziante, avvolgendola in cromatismi quasi argentiani (straordinaria la fotografia di Denis Lenor), raccontando una struggente storia d'amore (non corrisposto), di solitudine, di voyeurismo, di un delitto, di quanto l'amore assoluto possa portare alla disperazione.
Non solo Leconte e narratore che tocca l'anima e il cuore, ma anche un tecnico che sfiora il virtuosisimo visivo (la caduta finale nel vuoto, dove per un attimo si sofferma sulla figura della Bonnaire alla finestra, farebbe morire d'invidia il miglior Brian De Palma), con uno dei finali più strazianti, dolorosi e struggenti visti in vita mia, dove e quasi impossibile trattenere le lacrime.
Mr. Hire (uno stupefacente Michel Blanc), omino misantropo che di professione fa il sarto, schernito dai vicini, aria da sfigato, non ama la gente e la gente non ama lui. Alleva dei topolini bianchi (ogni riferimento a
Willard e puramente casuale), gioca a bowling bendato, va con le prostitute in una sauna (da antologia il suo racconto sulla gentil vecchina che avvelenava i piccioni) e le apostrofa rabbioso: "
Siete solo dei buchi!".
Mr. Hire cerca l'amore puro, e lo trova in Sandrine Bonnaire, la sua dirimpettaia, che lui spia dalla finestra ogni giorno, ogni notte, come faceva Craig Wasson nei confronti di Deborah Shelton in
Omicidio a luci rosse, ma senza canocchiale e con scopi meno morbosi.
Però Mr. Hire ha visto qualcosa, il fidanzato della Bonnaire che rientra sporco di sangue, autore di un omicidio ai danni di una ragazza trovata uccisa nel parco di cui un implacabile ispettore di polizia incolpa Hire stesso...
Da qui si dipana una matassa che parrebbe amore, ma non lo e. La Bonnaire seduce quell'omino strano solo per meri scopi di interesse, ma lui lo vive come l'amore della sua vita, fino ad arrivare ad un finale tragico che spezza il cuore e punta dritto alla stomaco, con chiusa beffarda e inaspettata che e un vero e proprio colpo di genio assoluto.
Leconte racconta il tutto molto elegantemente, attento alle sfumature e alle psicologie, raffinato, sensibile e implacabile, suadente e ipnotico, quasi polanskiano.
Da antologia la corsa sui tetti di un disperato Hire, il volo nel vuoto, la bambina che chiude gli occhi, la Bonnaire che vede attraverso un lampo l'immagine di Blanc che la scruta dalla finestra, la seduzione erotica, raffinata e delicata che Hire fa alla Bonnaire all'incontro di boxe, carezzandola dolcemente e una delle dichiarazioni più belle e sincere mai sentite in un film.
La straziante scena del treno, l'appuntamento mancato, e la Bonnaire (quintessenza della meschinità femminea, indimenticabile e indellebile la sua espressione davanti a Hire nel finale) che usa Hire per parare il sedere al suo ragazzo assassino e un misto di purezza e crudeltà luciferina.
Magistrale la partitura sonora del greenawayano Michael Nyman e alcune inquadrature sembrano dei veri e propri tableaux vivants.
Cinema che centellina la crudeltà e la disperazione, la solitudine e la morte che si traveste d'amore (mai come in questo caso davvero doloroso) e chiede il sacrificio delle sue vittime.
Leconte racconta una storia lineare, tra realismo, cinismo e poesia visiva e sfiora il capolavoro.