Schramm • 5/11/21 21:42
Scrivano - 7811 interventitardivamente (perdonatemi tutti), vi rispondo in solido dopo una lunga digestione critica alla quale avrei voluto far seguire una seconda visione per ricalibrare il tiro, purtroppo mancata per la tirannide del tempo: premettendo che il film fa sìsìsì con la testina a tutto quanto avevo presagito in fase hype e ci avevo visto giusto quando ai tempi dell'esordio chiosavo che
in futuro avrebbe dato grosse soddisfazioni; a caldo e di pancia ho apprezzato molto (e non solo con gli occhi: ha molti passaggi che sono emozione delle più pure, maiuscole e ribollenti; quindi il buon herr non mi trova concorde quando parla di estetismi vacui alla stregua di certo epaterismo orientale), facendogli il torto di lasciarlo sedimentare tra i gangli della ratio ne posso per sommi e semplicistici capi concludere che è una sorta di
raw così all'ennesima che la regista stessa sembra (ma sembra soltanto: la sa lunghissima, la nostra - anche troppo) faticare a tenere il calcolo, come se avesse preso
raw, l'avesse messo in mezzo a due specchi deformanti per lasciarci a decrittarne i punti più lontani della messa in abisso. Là l'identità labile e indecidibile in zona coming of age che trovava approdo riscatto balzo evolutivo sensualità e ragione esistenziale in un cannibalismo indiscriminato tanto figurato quanto letterale. Qua curvando di un (bel) po' il compasso, è la stessa hybris identitaria a cannibalizzare e metabolizzare - mano a mano che il divenire si fa molteplice, non assestandosi davvero mai – tutto, tutti, lo stesso film, noi con esso e qualsiasi cosa se ne possa dire o provare a ipotizzare. Son pronto alla sassaiola, ma personalmente trovo che le pietre di paragone tsukamotiane e ballardian-cronenberghiane siano pomice e stringi stringi nulla più che grossi equivoci dati da somiglianze sì evidenti, ma epiteliali - e volutamente tutte abbandonate all'en passant. rispetto a crony, forse più in generale la docournau ha abbracciato una poetica della neo-nuova carne, ma se delle parentele vanno cercate, è nel Carax di
holy motors che andrebbe forse riconosciuta l'adottiva paternità (yes, pun intended) dell'opera. Non tanto per i temi, che pore sono affini, quanto per il lasciarci cadere nel baratro senza mai tenderci la mano (tutt'al più un rametto secco e friabile), fare di ogni chiave di lettura una porta blindata a prova di ossidrica, snobbare la propedutica e perculare la semiotica, abbandonandosi a una quasi autistica incodificabilità; e nella scena (se autoparodistica o meno juliessa non si scomoda granché a farcelo capire, ma mi piace pensare di sì) dell'amplesso con l'auto, non credo sia fuori luogo trovare almeno un mezzo cromosoma comune con carpenter - ma dopotutto, solo in quella. Che tutto sia (in) tutto, che tutti siano tutti, che il film sia quel che gli pare - noi tutti in primis.
Il che però non lo rende così inaccessibile, incomprensibile o farneticante come vorrebbe essere o sembrare. Dice bene il buon rebis: la storia, che pure se ne sbatte di bruttissimo di essere verosimile tenendo il piede in una scarpiera intera (ed è giusto che sia così: lo spettatore ha da essere a sua volta artista, non un federato di Popper) è tutto sommato lineare come lo era a suo laterale modo raw, per certi versi anche di più. Juliessa fa persino il favore di farti credere abbia un adamantino significato fisso anziché fissile che funga da prisma concettuale, nel frattempo si prende tutte le libertà del cosmo, compresa anche quella di far diventare il corpo narrativo e visivo “
incoerente, narrativamente debole, slegato e anticlimatico”, certa come è che possano essere più forze che limiti - e il cosmo, si sa, è organizzato da un caos mai a caso. Stessa cosa il film, che da eretico che non teme alcuna inquisizione sovverte ardimentoso ogni regola creandone delle proprie, anche estetiche (anche in tal senso trovo sviste le parentele tracciate con tsuka e david), è sì anarchico (anche rispetto a se stesso) ma mai gratuito. Se ne fotte del concetto di tabù, di doverlo rispettare come anche infrangere, mai intende scandalizzare, se mai stupire e commuovere. E se è vero che all'estetica firma tanto di assegni in bianco, siamo vivaddio lontani galassie da quell'estetismo senza cauzione e senza ritorno di cui refn è innamoratissimo in un
neon demon, che fin troppo bene ci rende noto cosa stiamo guardando, anziché fomentare interrogativi in tal senso.
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Raw fosse un esordio gagliardo e meritevole d'attenzione ma (...) in debito di una logica 'circostanziale' di cui naturalmente negli horror ci si può strafregarelo si dovrebbe fare di più se i risultati sono questi. Di quanto horror si può davvero dire che sia colto, raffinato e che vada in contromano rispetto al genere e ai propri topoi al punto da non essere quasi più nemmeno horror ma sempre qualcos'altro?
E poi sapete cosa?, nella scelta e nell'uso che fa della musica la ragazza procura orgasmi multipli. Se ne avevano pochi dubbi nell'esordio (penso anche solo all'inno alla troiaggine delle Orties durante l'agnizione allo specchio di chi vuole crescere in fretta incenerendo prematuramente ogni tappa), ma qui si è superata. Come risignifica, rendendole organiche e giocose e grandangolari
Nessuno mi può giudicare e la
Macarena senza scadere nella gratuita e paracula gag postmoderna che fa tanto strapulp, beh ci vuole ciò che differenzia il talento dal genio.
E poi alla festa danzante in ralenty con
light house dei future island vi giuro che non ce l'ho potuta fare, ho lasciato andare le lacrime, per una commozione inconoscibile, che poi è tra le più enormi che si possano sperimentare, e che al cinema accadono di rado. Anche solo per il magico amplesso tra quella ipermalinconica scena piena di gioia contratta che non scoppia veramente mai (dove è nascosto probabilmente il positivo senso ultimo di tutto il film) e la musica, mi sento di tenere il film in palmo di mano guantata di raso.
E non ho ancora proferito sillaba per i due protagonisti, per i quali la parola
immensi è poca cosa.
>>>È uno di quei film per cui si può cambiare radicalmente opinione nel tempo, ad una seconda visione. In entrambi i sensi. se dovesse capitarmi, ciò non farebbe che confermare la potenza dell'opera, e partirebbe un grazie dei più grati.
Sbrodolato ciò, se
titane m'è piaciuto quel mezzo punto in meno rispetto all'esordio, è per la troppo evidente autoindulgenza e la programmatica freddezza con cui juliessa ha cambiato specifico solo per renderlo uguale al precedente, che mi fa temere una coazione a ripetersi anche per quella che sarà la terza prova.
Ora le chiedo di cambiare totalmente traiettoria derapando rispetto a un assalto al calor bianco all'identità quale che sia (e al suo essere concettualizzata) e non far battere un sentiero che ripercorso una terza volta sarebbe un po' troppo rassicurante per lei come per noi. In sostanza, se farà un raw III che mi fa sentire troppo garantito, mi gireranno forte.
Ma mi sembra autrice troppo scaltra, lungimirante e generosa perché ciò avvenga.
>>>
P.S. Ma perché mai i cinema di madre ecclesia non dovrebbero dare il beneplacito? Alla fin fine è pure un grande spot prolife! :D forse proprio perciò. Del pari su cosa poggia l'immaginario cattolico, se non su senso di colpa morte sacrificio e una fratellanza universale ma che per l'amor del clero tenga conto delle distinzioni di genere?! Tutte cose che in quest'opera sono sia spernacchiate che rivendicate in quanto beatitudine senza peccato.
Di certo, premi o non premi, e al di là degli ipotizzabili perché e percome, le opere meno allineate alla logica del gastronomico (penso per esempio a
suspiria, climax, la casa di jack) qua non ci arrivano manco per sbaglio. Moretti, siine certo, capirebbe.
Ultima modifica: 5/11/21 22:25 da
Schramm
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Orson
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T. hermill, Giùan
Herrkinski, Capannelle, Jdelarge, Buiomega71
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Deepred89, Jandileida, Didda23, Marcel M.J. Davinotti jr.
Vice, Stringer, Daniela