Il Dandi • 23/09/18 19:08
Segretario - 1486 interventi Schramm, scusa ma anche tu sei ben originale invitando (me o te stesso) a
"far finta il più che si riesce che sia un'opera completamente autonoma rispetto alle cronache", perché è chiaro che lo spettatore non può farlo e del resto il regista non lo vuole.
Concordo invece che sia un film in buona compagnia: in Italia il genere del realismo impegnato è un filone florido e, salvo rarissime eccezioni, per lo più
innocuo (visto che l’aggettivo “inutile” ti distrae). Stroncai per esempio
Romanzo di una strage di Marco Tullio Giordana, asserendo che in sua vece una puntata di Lucarelli su Piazza Fontana abbinata a un qualsiasi poliziottesco commerciale dell’epoca sia una visione non solo più godibile, ma anche più istruttiva. Lo stesso Giordana però è stato anche autore di una delle poche eccezioni che riconosco in
Pasolini un delitto italiano, film che non si limitava ad ingrossare l’elenco dei
backstage di cronache nere (come ci hanno abituato, per intenderci, le ricostruzioni mimate in Telefono giallo e Storie maledette) ma ne analizzava il contesto, le cause, le conseguenze.
Forse la storia che andava raccontata comincia proprio dove il film (e la vita di Stefano) finiscono: dov’è il carabiniere (la cosiddetta “mela sana”) che ha avuto il coraggio di testimoniare contro i colleghi? Dove l’ex-moglie dell’altro carabiniere che accusa il marito di essersi vantato del pestaggio? Dove sono gli anni di battaglie condotte dalla famiglia per chiedere verità e giustizia, le provocazioni senza ritegno di imputati che si trasformano in querelanti, l’impegno di Ilaria Cucchi al fianco dei parenti di altre vittime per l'introduzione di una legge italiana sulla tortura e le umiliazioni subite in nome delle avverse strumentalizzazioni politiche del caso?
Dov’è in definitiva il meccanismo (intendo quello strutturato, non episodico e casuale) che ha stritolato Stefano? Quello che vuole i tossicodipendenti e i disabili psichici come elementi sociali “inutili” (stavolta passamela) ed eliminabili (anche fisicamente)?
Io nel film non trovo nulla di tutto questo, ma solo un'estetizzazione del graduale peggioramento delle condizioni fisiche di Cucchi, attraverso banali inquadrature cristologiche e una fotografia che “è coerente con questo discorso sulla morte” (Duccio dixit) ed è proprio
l’alibi della ricostruzione rigorosa a impedire al film di osare un punto di vista realmente critico (come se ci si dovesse vergognare di averne uno).
A tal proposito cito a memoria una delle poche recensioni dissonanti e negative che mi è capitato di leggere: “
anche un film che risulta devastante può essere contemporaneamente accomodante se il devastante è in realtà previsto, prevedibile e non risolve nulla.”
Ah, come reagirei alla visione di altri film dello stesso tenore è una tua curiosità che per il momento ci teniamo entrambi. :) Non sono certo una mammoletta che si impressiona facilmente, se è questo il punto, ma se devo fare un giro all'inferno almeno che non sia un giro a vuoto.
Ultima modifica: 23/09/18 19:43 da
Il Dandi
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Luluke
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