Terza versione cinematografica tratta dal romanzo di William Somerset Maugham, dalla gestazione travagliata (una settimana diretta da Forbes, il grande Henry Hathaway che lascia il set quasi subito perchè non sopportava la Novak-e come protagonisti voleva Montgomery Clift e Marilyn Monroe, dopo la defezione di Sue Lyon per il ruolo di Mildred-Ken Hughes chiamato a rattoppare il tutto, che si trova subito in bega con il carattere spigoloso della Novak, la Novak che detestava Lawrence Harvey, giudicandolo spocchioso e arrogante, lo stesso Forbes ebbe problemi sempre con la Novak)
Insomma, lavorazione sofferta e certo non facile, dove si nota (soprattutto nelle intense sequenze delle litigate tra la Novak e Harvey, che si sputano addosso rabbia e veleno in dialoghi di tagliente crudeltà) una certa insofferenza generale, che dà al film una marcia in più.
Avvolto del bellissimo bianco e nero di Oswald Morris, in una Londra uggiuosa, grigia e plumbea non dissimile da quella ritratta da Lynch in
The Elephant Man , è una storia di amore balordo e malato, con Harvey che soffre della sindrome dello "zerbinismo" (a pochi passi dal femdom), costantemente umiliato e preso in giro dalla Novak, misto di avidità, frivolezza e crudeltà ginecea, che non ci pensa su due volte a tradirlo con chiunque e a deriderlo per il suo handicap (un piede torvo, già bersaglio degli scherni sadici di alcuni ragazzini a inizio film e sottoposto a "visita medica" da alcuni colleghi del corso di medicina, che rammenta la ragazzina storpia del
Rossetto di Damiani), bistrattandolo con bugie su bugie, inganni su inganni, per poi deriderlo (la balla sull'appuntamento mancato, dove lui la spia e la becca che esce con un'altro, l'imbarazzante annuncio matrimoniale, le pantomime a teatro, dove lei civetta con altri uomini, il vittimismo cronico della donna, che le serve per farsi scusare per poi ricominciare a prenderlo per i fondelli, escono insieme con un amico di lui e lei fa la scemetta per tutta sera con l'amico sotto i suoi occhi).
Che Harvey soffra di una specie di masochismo nel piacere di farsi umiliare dalla donna che ama incondizionatamente è ovvio (
Non posso spiegarti perchè ti amo, non capiresti), anche rifiutando l'affetto sincero di una donna posata e responsabile come Nora (Siobhan McKenna), cercando sempre quel rapporto distruttivo con Mildred, finchè la sifilide non farà giustizia.
La Novak nei bassifondi della prostituzione , imbruttita e emaciata sotto chili di trucco da battona (le vie squallide e fumose sono le stesse dove operava Jack lo squartatore), le sequenze nell'obitorio, il tacchettio dei tacchi della Novak che si allontana da Harvey , immersa nella fioca luce dei lampioni di una strada buia, Harvey che, alla fine, la ripudia, scatenando le ire delle donna che le sputa in faccia cattiverie su cattiverie (
Sei solo uno storpio, mi hai sempre disgustato), dando il via a duetti recitativi memorabili (la Novak sembra davvero schifata da Harvey, e la loro reciproca insopportazione ne aumenta la veridicità del confronto)
Ottima prova anche per il futuro tenente Williams dello squartatore fulciano, doppiato da Pino Locchi (che pronuncia la parola "troia"-riferendosi alla Novak-, forse tra i primi film-in epoca non sospetta, ancora avvinta da maglie censoree- a usare questo epiteto nudo e crudo) e nel ruolo del cinico e filosofo insegnate di anatomia un divertito Robert Morley, prima di essere il critico teatrale, con barboncino, punito sadicamente da Vincent Price in
Oscar insanguinato
Sulla paternità del film pare la spunti Ken Hughes, ma la presenza di Nanette Newman (moglie e musa di Forbes, nel ruolo della candida Sally) e la Novak seduta davanti allo specchio ha le stesse movenze melliflue della Katharine Ross della
Fabbrica delle mogli (e se non sono gli occhi neri, sono quelli sgranati, da pazza, della Novak) mi fa dubitare che Forbes abbia dato il suo contributo registico ben più che una sola settimana (il film è scritto da lui, e compare nel ruolo cameo di uno studente di medicina) e la sua personalità, nel film, è troppo insista per far spallucce.
Forse oggi risente del peso degli anni (tronfia la colonna sonora da melodrammone di Ron Goodwin), ma pervaso da una cupezza di fondo non indifferente, dagli isterismi della Novak misti a effusioni da gattina subdola, dalla remissività e dall'amore cieco di Harvey, da alcuni dialoghi ficcanti e da un'atmosfera morbosa e fosca.
E sul letto di morte ci ha pescato pure il Paul Verhoeven di
Fiore di carne.
Da segnalare i pregevoli titoli di testa su sfondo di statue che amoreggiano.
Opera dal parto complicato, ma che ha in nuce barlumi forbesiani notevoli (regista che sarebbe bene riscoprire), che sfoceranno in
20mila sterline per Amanda e
Bisbigli, traghettando, poi, il tema della "donna perduta" (e questa volta remissiva) in quel capolavoro che è
La fabbrica delle mogli.