Malickiani di tutto il mondo, rallegratevi: Terrence è tornato! E lo ha fatto raccontando una storia, vera, nel suo stile: copioso uso della voce fuori campo, dialoghi scarni, ellissi narrative, lunga (180 minuti) durata. Le tre ore potrebbero spaventare, ma il film non annoia mai: riesce anzi ad incuriosire e coinvolgere fino alla fine che non arriva certo a sorpresa. Un efficace inno contro la stupidità della guerra (ma non solo), privo di strepiti, retorica ed inutili giaculatorie. Chi ama il cinema dell'australiano, troverà pane per i suoi denti.
Un contadino austriaco rifiuta di giurare fedeltà a Hitler e di partecipare alla guerra e, sostenuto dalla propria fede e con l'appoggio della moglie, affronta le conseguenze di questa scelta... Per sua ammissione, Malick ha diretto un film più "convenzionale" rispetto ai tre precedenti. Vien allora da dire "viva la convenzione" se significa raccontare una storia forte e coinvolgente mediante una messa in scena raffinata con inquadrature curatissime e largo uso del grandangolare che non è solo fonte di godimento estetico ma veicola emozioni. Sobriamente commovente.
Il maestro Malick non realizza pellicole tanto per... Qui si assiste a una narrazione visionaria e potente contro l'aberrazione nazista. Fotografia e riprese al limite del perfetto con un andamento lineare, ben gestito da un valido accompagnamento musicale, che conduce a un finale amaro. Interpreti appropriati; nonostante le quasi tre ore si resta piacevolmente interessati a certe proiezioni.
Biopic del contadino austriaco Jagerstatter, che si rifiutò di giurare fedeltà al Terzo Reich. Film nel quale filosofia e spiritualità ben si fondono dando vita a una sorta di inno all'amore e alla non belligeranza. Sceneggiatura intensa, ricca di significati poetici e raffinati, fotografia eccellente, regia più che efficace. Ultimo film per Bruno Ganz e Michael Nykvist.
Un cinema di grande potenza visiva ed eleganza di ripresa che sconta però il perpetuarsi di pensieri e panoramiche che possono sfinire lo spettatore. Molto bravi comunque gli attori, la compenetrazione con i visi sofferenti ma convinti di Diehl e della Pachner raggiunge vette notevoli. Malick allunga il brodo ma l'uso di grandangoli, la voce narrante e il silenzio si rivelano un insieme azzeccato nel descrivere il tormento di Franz Jägerstätter in termini anche poetici. Centrale anche il rapporto uomo natura e il senso di una comunità ostile, consegnatasi acriticamente al nemico.
Sfugge all'assioma del prendere o lasciare ormai canonizzato per il cinema di Malick, in virtù di un ritorno all'ancoraggio di una storia, intesa sia come traccia narrativa incidente che come maiuscolo riferimento temporale. Così i movimenti di macchina circolari, la frammentazione del montaggio, il pathos poetico, si privano di gran parte della loro surrettizia zavorra trascendente trovando rispondenza veridica e nuova linfa naturale in un poema visivo denso e conturbante, stordente e magistrale, struggente ma implacabilmente etico, colmo di rettitudine, rinuncia e sacrificio.
Montanaro austriaco si rifiuta di prestare fedeltà al Reich e finisce imprigionato. Film che racconta le conseguenze della guerra per chi vive di ideali religiosi e di vita nella natura. L’estetica di Malick funziona meglio negli spazi aperti e tende a soffocare i protagonisti nei loro ragionamenti; la voce fuori campo commenta gli eventi anche se diviene ridondante. La durata poteva essere snellita durante la detenzione, discreto il finale che non infierisce. La morale del film sembra un tributo alle figure come il protagonista, anche se la moglie alla fine cambia idea.
MEMORABILE: Le botte in carcere; L’ostracismo dei vicini di casa verso la moglie; Il verdetto del tribunale militare.
Attraverso una storia (vera) tutto sommato semplice, Terrence Malick realizza un duro apologo anti bellico molto forte e attualissimo che mostra l'evoluzione della di un uomo semplice che compie un gesto di disobbedienza civile coerente con la sua personalità e il suo credo religioso. Il tutto in una cornice idilliaca che il regista fa diventare progressivamente opprimente mano a mano che si rivolta contro il personaggio principale. Il tutto con una visione autoriale, fatta di inquadrature e frequenti grandangoli suggestivi, anche se il film patisce una lunghezza eccessiva.
Terrence Malick torna al cinema narrativo (e fa bene) però è ben lungi dal ritrovare la lucidità e la forza che erano suo caratteristiche. Qui sembra soprattutto svolgere il suo compito in modo pulito, senza metterci niente che non sia un professionismo evidente ma freddo. Mezzo voto in più comunque, perché è il congedo dal cinema e dalla vita del grande Bruno Ganz.
La storia vera dell’obiettore di coscienza austriaco in epoca nazista lascia in secondo piano il senso religioso per offrire uno sguardo laico-umanistico capace di diventare paradigma per ogni luogo e guerra. Ma i momenti forti (con crescendo da un avvio cartolinoso, complice l’ambiente alpino, a un’evoluzione più profonda) sono annegati in tanto compiacimento per un (lunghissimo!) film più estetico che storico e politico. La lingua inglese diventa tedesca nelle liti o nelle scenette di contorno, con un’idea irritante di zotico-esotico: perché?
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DiscussioneDaniela • 28/10/20 21:05 Gran Burattinaio - 5941 interventi
Caro Cotola, che consolazione leggere il tuo commento! Dopo tre mattonate di seguito, avevo messo una croce sul nome di Malick, ma con molto rammarico. Ora, mi affido del tuo giudizio e sono pronta a ravvedermi ;o)
Magari lo troverai meno bello di quando sia capitato a me, ma di sicuro nulla a che vedere con gli ultimi filmetti. C'è una netta differenza: un ritorno alle origini.
CuriositàDaniela • 30/10/20 20:57 Gran Burattinaio - 5941 interventi
Il film racconta le vicende di Franz Jägerstätter, un contadino austriaco cattolico. Chi volesse conoscere di più sulla sua figura, può trovare notizie in italiano qui (biografia) e qui (scelta degli scritti).
DiscussioneDaniela • 31/10/20 20:14 Gran Burattinaio - 5941 interventi
Cotola ebbe a dire:
di sicuro nulla a che vedere con gli ultimi filmetti. C'è una netta differenza: un ritorno alle origini.