Decisamente floscio. Lizzani ribadisce il proprio interesse per la critica all’alta società del Nord e dei suoi vizi – si parla anche di prostituzione e pederastia – ma la narrazione è svogliata, farraginosa e troppo piatta per avvincere lo spettatore. Risalta qualche buon carattere come l’affaccendata e impertinente prosseneta Noris e l’aitante Venantini, nonché le giovani starlets: la Tolo – pure in reggicalze - , la Davi, la Loncar; la Carrà è accreditata con la sigla csc.
Davvero fiacco questo lavoro di Carlo Lizzani. Forse non ho digerito più di tanto la protagonista Assia Noris, che attraversa tutto il film parruccata e con lo stesso ghigno irritante; certo qualche spunto interessante c'è, ed in fondo questa Celestina si comporta in modo moderno per essere nel 1965. Però rimane il fatto che non ci si appassiona mai alle sue vicende, e si finisce presto coll'annoiarsi. Nel cast, una giovanissima e splendida Raffaella Carrà, ma anche Pupo De Luca, Piero Mazzarella ed un silente Franco Nero.
Ruoli oggi propri di molti sensali, negli anni del Boom potevano concentrarsi in una sola donna. Lizzani, che scrive con Magni, fotografa una delle leve poco indagate della prima Milano da bere. Assia Noris è meticolosa nel costruire una torre di mossette, coroncine e ghigni, frecce di un cinismo granitico più anglosassone che italico. I diversi fili tesi aprono e chiudono microstorie secondo un gioco di incastri talvolta inverosimile, agevolati da Venantini, buon partner in crime. Il tunnel del divertimento festaiolo antenato dei party di Jep Gambardella.
MEMORABILE: L'anelante esistenzialista e il marpione finto sodale nel suicidio col gas.
Curioso film, che tiene benino per un'ora, ma che poi vede i nodi venire al pettine: qualche esagerazione di troppo (il post-rapimento, il finto suicidio), un tono che si fa grottesco (l'Eccellenza), una sfilacciatura generale della vicenda. Lizzani tocca argomenti decisamente proibiti per l'epoca: non solo l'omosessualità, ma anche la prostituzione giovanile, sulla quale tornerà in seguito, con mano non troppo felice. Da notare il rientro della Noris in un ruolo che contiene aspetti deteriori del "boom", nonché una sfilza di bellezze maschili e femminili (spettacolare la Sannoner).
Oggetto filmico poco identificato nel cinema italiano anni '60, in un'operazione spuria fin dall'ideazione con il soggetto della (redi)diva del regime Noris diretta dal maître-à-penser Lizzani. Al di là delle singole cose buone (il cummenda col braccio alzato di Mazzarella) e di una certa sbrigatività di fondo che non aiuta la massa della commedia a lievitare (l'equilibrio irrisolto tra l'imperversante Celestina e una volontà di racconto corale), c'è tuttavia da segnalare un discorso sicuramente arrischiato per i tempi, comprensivo di un linguaggio senza p...r sulla lingua.
La matura (ma sempre bellissima) Assia Noris, ormai lontana dall'angelica ragazzina di un tempo, chiude la carriera impersonando un'amorale ruffiana che sfrutta a proprio vantaggio i vizi altrui. Deliziosa nella sua inflessione russa combinata allo spietato cinismo nero, funziona egregiamente come i suoi comprimari dalle audaci stoccate satiriche che colgono spesso nel segno. Purtroppo, rimanendo lo scopo finale delle sue trame alquanto fumoso, non ci resta fra le mani che un ripetitivo manuale di cinismo fine a sé stesso, privo di una struttura che possa coinvolgere. Peccato.
MEMORABILE: Moretti alza il braccio: “Marcia su Roma?“, “No, no, coronarie”; I barbiturici in supposta per scoraggiare i suicidi.
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