Il cerchio serve anche a metaforizzare lo spazio chiuso, la trappola, la prigione in cui le donne iraniane si trovano a dover vivere dalla nascita (il film comincia proprio con un parto) alla morte. Tre episodi che chiudono i conti, perché da lì non si scappa. E se riuscite a sopportare la pedanteria dei dialoghi (la donna che insiste a chiedere al bambino dove è la mamma, nonostante lui non faccia che ripetere che non lo sa), non mancherete di apprezzare questa pellicola lontana (produttivamente e culturalmente).
Film dalla struttura circolare (inizia e finisce allo stesso modo) in cui il regista Panahi scandaglia il mondo femminile e lo fa con grande pudore, sensibilità ed in modo sobrio, attraverso otto storie di donne, alla prese con la dura sopravvivenza nel mondo di cui fanno parte, che vanno a formare un cerchio simbolico che forse vuole rappresentare l'universo chiuso in cui esse sono costrette a districarsi. Interessante ma non eccezionale. Leone d'oro a Venezia.
Il cerchio non descrive solo il tracciato narrativo che conchiude claustrofobicamente il racconto al di fuori della linearità spazio temporale, ma delimita, circoscrive, confina e, conseguentemente, imprigiona, annullando i diritti e l'identità delle otto protagoniste. All'interno di un regime integralista, folle e teocratico, dove venire al mondo donna equivale a compiere un peccato, Panahi tace dei loro reati perché umanamente inesistenti. Raffinato e lirico, ma mai pleonastico, Panahi mimetizza la regia in uno stile essenziale, limpido, oggettivante, alle soglie del documentarismo. Corale.
Tema interessante, film sfiancante. Sorvoliamo sul budget (vistosamente basso), sorvoliamo sulla fotografia (pessima, ma forse è colpa del budget), sorvoliamo pure sul cast (anonimo e poco incisivo) e se proprio vogliamo pure sull'abusatissima struttura circolare ad episodi (episodi fiacchissimi ovviamente). Un noia mortale, un'ora e mezzo che sembrano infinite e su questo non so quanto si possa sorvolare. Regia fredda e documentaristica, con qualche buona intuizione che salva il film dal disastro.
In un paese (l'Iran) dove la donna è spesso emarginata e degradata, Jafar Panahi dedica il suo film proprio all'altra metà del cielo con otto storie e una struttura narrativa circolare che è anche metafora della condizione femminile. Poco apprezzabile da chi cerca nel cinema ritmo ed azione, Il cerchio affronta la quotidianità in modo pacato e riflessivo con storie ordinarie che segnano lo spettatore più attendo e dicono più di dotte dissertazioni.
Moglie, madre, figlia, puttana, ma comunque essere inferiore: è la donna nella società iraniana, descritta in questo bellissimo film, concepito come un girotondo di storie inanellate di ex detenute, in fuga da qualcuno e in cerca di qualcun altro, nella sconcertante pratica di una profonda discriminazione ed emarginazione. La cinepresa è sempre fissa sulle donne (anzi, sulle macchie nere dei loro veli: evidenza cromatica di esseri alieni), come a rendere loro una visibilità e una centralità negate. Inizio e fine (circolari) da brividi.
Microstorie di donne iraniane collegate le une alle altre in cui si narra la loro condizione. Il quadro di repressione femminile è più concentrato sulla paura delle conseguenze che sul dominio che il maschio perpetra. Donne viste come dei fantasmi neri nei loro chador, come delle ospiti indesiderate: la regìa segue bene le fughe e si sofferma sulle espressioni preoccupate. Film realistico anche per evidenti difficoltà ambientali e per le attrici non professioniste.
MEMORABILE: Il parto inziale di una femmina; L’abbandono della bambina per la terza volta.
Quanto turba questo film. Il regista racconta una giornata di ordinaria emarginazione e sudditanza di alcune donne rese sole da un passato non detto, ma certamente drammatico. Alla ricerca di una via di accesso a una normalità impossibile, in una società come quella iraniana (e non solo) maschilista e bigotta, le protagoniste sperdute e bisognose del sostegno reciproco, non hanno possibilità di uscire dal cerchio che le soffoca. Si percepiscono nel caos urbano, l'ansia e l'urgenza di sopravvivere in quella dura realtà. Quanto turba questo film.
MEMORABILE: Il dramma distribuito da una donna all'altra; La piccola abbandonata; La sigaretta; La fierezza della prostituta.
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Dal Corriere del 2 marzo 2010
"Stretta del regime iraniano su artisti e intellettuali dissidenti. L'ultimo a farne le spese è stato Jafar Panahi: il regista de Il Cerchio (con il quale nel 2000 vinse il Leone d'oro a Venezia) e Oro rosso è stato arrestato a Teheran assieme alla moglie e alla figlia."