Il buco - Documentario (2021)

E' difficile raccontare la trama, perché citare il contrasto-paragone tra un gruppo di speleologi in cerca di nuove avventure nel ventre della terra e un pastore che parla con i suoi animali è davvero riduttivo. Si tratta invece di un tuffo assoluto nella bellezza ispida delle immagini, con sullo sfondo l'Italia che sta cambiando per sempre. Frammartino, come già in Le quattro volte, chiede allo spettatore un coinvolgimento emozionale completo e offre in cambio un'esperienza sensoriale unica.

Severamente vietato a chi soffre di claustrofobia, il film rievoca la scoperta della terza grotta più profonda al mondo, di ben 683 metri, nel parco Nazionale del Pollino. Non aspettatevi dialoghi perché tutto viene affidato alle immagini, che a loro volta riescono a evocare significati e significanti al pubblico più sensibile. L'introduzione d'un gruppo di uomini dentro ai misteriosi anditi di quel buco va di pari passo con la "speleologia" dell'animo umano, di chi oramai al lumicino lascia la vita terrena forte delle sue rughe segnate, come il paesaggio a cui paiono appartenere.

Frammartino rievoca l'avventura archeologica che nel '61 portò alla scoperta della grotta o abisso del Bifurto, ma senza alcuna intenzione documentaristica se non quella di mettere lo spettatore di fronte alla splendida eloquenza del paesaggio calabrese e al continuo contrasto tra la luce accecante e tenebre sotterranee. Nessun dialogo, solo suoni e rumori della natura, qualche bisbiglio lontano e il vincolo vocale che lega il vecchio pastore ai suoi animali. La lentezza stessa delle riprese diventa necessaria alla percezione di un clima e di un ambiente che "parla" senza le parole.

Un'impresa oscura, letteralmente e metaforicamente, quella di un gruppo di speleologi che nel 1961 si calano dentro una grotta nel parco del Pollino: il loro "portare alla luce" nel fondo dell'abisso corrisponde all'esterno al lento passaggio dalla vita alla morte di un vecchio pastore con una contrapposizione tra le sequenze in piena luce, di grande e naturale bellezza, e quelle cupe e claustrofobiche ambientate nelle viscere della terra. Non facile da seguire per il senso di soffocamento, il film di Frammartino offre spunti di riflessione ma richiede impegno e pazienza.

Dispersi in un Sud così profondo da condividere solo nominalmente l'appartenenza allo stesso paese del grande capitale, ad inizio anni '60 alcuni speleologi si inoltrano nel parco nazionale del Pollino per penetrarne una profonda cavità sotterranea: è l'Italia del Boom che disvela (dissacrandole) le proprie residue connessioni con un mondo arcaico che muore, il pastore che spira - con indosso la lurida tuta dell'operaio - all'effimera luce del miracolo economico. Cinema verità? Mockumentary? Importa poco: l'esperienza immersiva è totalizzante e gli spunti di riflessione mai banali.