Sceneggiato dalla Natura stessa e dalle sue ferree e inesplicabili leggi, che designano a protagonisti un anziano pastore, una capretta, un albero e il pulviscolo, è un'opera che vive di una struttura conchiusa e circolare, il cui movimento è governato da quei princìpi di generazione e morte che la metempsicosi pitagorica riconduce alla totalità metamorfica dell'essere. Raro esempio di cinema italiano che pur rivendicando il suo intimo legame col folklore locale calabrese riesce a conseguire una portata filosofica e una pregnanza universale. Contemplativo.
La vita agreste dura e semplice in un pietroso paesino calabrese, dove la natura, gli animali e gli esseri umani sono aspetti collegati in un unico contesto. Il ciclo dell'esistenza si ripete silenzioso fra stagioni che si alternano, fatica, spiritualità, seppure primordiale, vita e morte. Il film si apre e si chiude con il complesso e poetico sistema di produzione del carbone, elemento fondamentale per la combustione ed il riscaldamento.
Morte e vita si rincorrono ciclicamente: è la serena constatazione di chi vive in comunione con la natura. Come il paesino calabrese, già raccontato da De Seta, di cui vediamo frammenti di vita in un racconto umile e grandioso al tempo stesso, piccolo e universale. Un po’ Esiodo e un po’ Piavoli, con l’occhio del documentarista piegato ai dettami dello sguardo poetico, Frammartino osserva un mondo antico/odierno, in cui la morte di un pastore coincide con la vita di un capretto, la morte di questo con la creazione dell’albero della cuccagna, che poi diventa carbone.
L’Ordine naturale delle cose: polvere siamo e polvere ritorneremo. Viaggio ellittico che riproduce il lento e contemplativo susseguirsi dell’esistenza. Un magmatico concatenarsi di eventi: Madre natura ad accogliere le vite e le morti di un anziano malato, una capretta appena nata, un albero che da trofeo di paese finisce carbonizzato. Sguardo mai troppo vicino mai troppo lontano, onnisciente e silenzioso, umile e profondo: siamo costituiti da quattro elementi e bisogna conoscersi quattro volte per un'universale presa di coscienza. Arcaico.
Definirlo semplicemente documentario è riduttivo: nascita, vita e morte si danno la mano e danno luogo ad un balletto in cui si susseguono l'una all'altra secondo i ritmi e le ragioni (spietate agli occhi umani) della Natura. Un anziano, le capre, un albero, il carbone. Quattro segmenti, quattro elementi. Alle immagini mozzafiato di grande fascino e bellezza si aggiunge un sostrato filosofico di grande spessore. Bellissimo e quindi da vedere. La dimostrazione che il nostro cinema non è solo commedie ed intellettualismi d'accatto.
Quando ho assistito ad alpeggi e vita montana non sono state toccate le mie corde filosofiche, piuttosto notai che certa quotidianità o tradizione va scomparendo. Frammartino inquadra con attenzione un modus vivendi ripreso nell'incedere delle stagioni, con tocco anche per gli interni. Cromatismo con verde saturo marca troppo il concetto di natura, dove un b/n avrebbe dato enfasi e impronta da restare nel tempo. Scelte azzeccate specie per il tronco, mentre il pastore ricorda con le debite distanze Il cavallo di Torino.
Il rigoroso ed estremo approccio cinematografico di Frammartino, quasi di herzoghiana memoria, produce un'opera ciclica e "naturocentrica" nella quale gli esseri umani (vecchi pastori, carbonari e capre) non predominano ma assecondano il ritmo della stagioni per ottenere il proprio sostentamento. Il contrasto fra la perfezione del creato e la tradizione popolare calabrese crea dei tableaux vivants di rara bellezza. Meravigliosa la fotografia, che esalta la bellezza dei paesini e della flora circostante. Un piccolo gioiellino.
Ode allo scrigno dell'arcaico stare al mondo contadino che calcola le fasi della vita in base alle energie impiegate per tornare ad aprire gli occhi la mattina: quelli di un anziano pastore mutacico prostrato dalla malattia polmonare, quelli di un capretto espulso dalle viscere della madre, quelli di uno splendido sempreverde che da palo della cuccagna si trasforma in materiale inorganico per una carbonaia. Sicuramente unico nella sua messa in scena tolstojana, sacralmente evocativo come un Picarella ma troppo freddo per emozionare come un Piavoli: colpisce ma non penetra a fondo.
MEMORABILE: La morte del pastore, volta la carta ed esce l'agnellino; Un camioncino non in folle su una pendenza.
Frammartino dà vita a un film che ha il pregio di riuscire a essere incredibilmente rigoroso nonostante la vera protagonista sia la natura e la sua incontrollabilità. In questa duplicità e ciclicità di ordine e caos risiede l'essenza di un paesino ancorato alle tradizioni e allo stretto contatto con la madre natura che, a differenza della religione, sorda spettatrice della vicenda, rappresenta il vero cuore pulsante della vita. Notevole.
L'opera di Frammartino si tiene lontano - trascendendolo - dallo stile documentaristico normalmente inteso; si tratta più propriamente di un atto contemplativo in cui l'autore stesso si eclissa facendo "parlare" gli elementi della natura e il suo fluire attraverso il ciclo ineluttabile che sovrasta tutti. Un pastore morente, una capretta appena nata, un grande albero che diventerà carbone per la comunità costituiscono l'oggetto che il regista pone sullo sfondo, facendocelo osservare con la lentezza che riesce a diventare subito immedesimazione. Senza tempo, tra estetica e filosofia.
MEMORABILE: Le capre visitano la casa del padrone morente; Il cagnolino "inascoltato"; La capretta dispersa; La grande carbonaia.
La natura, le stagioni, il lavoro, la vita, la morte. Ovvero, come raccontare tutto questo (e anche molto di più) senza bisogno di dialoghi, di parole, di didascalie. Un film che colpisce per l'assoluto rigore delle scelte, per la bellezza delle immagini, per l'assenza di qualsiasi tentazione calligrafica. Puro cinema, ogni fotogramma riempie gli occhi e fa pensare.
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Non deve essere stato facile realizzare questo film (che è riduttivo definire documentario) che riesce davvero a catturare la spontaneità degli accadimenti: sembra girato non secondo la logica e la tempistica canonica dei set cinematografici, dove ciò che la Natura non concede viene riprodotto artificialmente, ma secondo i tempi e i modi della Natura stessa. Per la sua coerenze estrema fa pensare al cinema di Werner Herzog...