A Roma Nord, nel quartiere bene della capitale, due ragazzi organizzano feste, spacciano droga e vivono intensamente. Strano e affascinante film in cui il lato oscuro di Roma è raccontato con durezza ma sfuggendo dagli stereotipi e con molte idee di regia decisamente sorprendenti. I due protagonisti sono molto bravi, Castellitto padre dimostra come sempre gran classe, i dialoghi non sono mai banali.
Un film di una certa crudezza condito da un linguaggio forbito che mette in risalto la bravura di Pietro Castellitto e di Giorgio Guarascio. Anche il cast di contorno è efficace, dalla Noschese a Sergio e Cesare Castellitto passando per Branciamore. Meno incisiva la Porcaroli. Forse la pellicola è penalizzata da una certa lunghezza e da qualche momento noioso come la fase psichedelica post assunzione di droga e le scene in discoteca, però il film tiene e si lascia vedere accompagnato pure da un pizzico di ironia. quà e là. Buon utilizzo delle musiche.
Film di istinto, di sperimentazione, un po' grezzo ma di cuore. Alla sua seconda da regista, Pietro Castellitto si ispira ad atmosfere a metà tra il sorrentiniano e Suburra a costruire una visione della Roma bene sospesa, rarefatta, che perde sovente e volutamente l'appiglio con il reale. A sostegno dell'idea mette il suo volto e il suo carisma acquisito di attore, tagli decisi, qualche leggerezza o inquadrature osate, talora fastidiose e un ritmo altalenante che deve ancora padroneggiare ma una poetica che appare centrata in particolare sul personaggio di Guarascio. Infine un buon sapore.
MEMORABILE: Valentino stona "Spiagge"; Valentino truccato; Volo con la madre; Giordano e il discorso con l'autista; L'albero; Rage room; La discoteca infernale.
Due ragazzi borghesi spacciano una partita di cocaina da venti milioni di euro. Si comincia descrivendo il mondo agiato romano che confonde "la potenza" con “la spocchia” e che risulta un filo frammentato nella descrizione. Il prosieguo nel noir è realizzato indubbiamente bene, con qualche evoluzione registica da dosare meglio, condita da dialoghi non banali e situazioni che si fanno seguire. La chiusura rimanda a fatti storici terroristici facendo perdere originalità al film. Pietro Castellitto migliora, in questa sua seconda pellicola.
MEMORABILE: Il dialogo in macchina sui ricordi; L'entrata in disco; Il faretto verde in faccia; La palma in casa.
Ambizioso, un po' pretenzioso, comunque irrisolto. Soprattutto un po' sconclusionato. Castellitto è un attore interessante della nouvelle vague, ma il suo sempre più somigliare fisiognomicamente al padre lo sta privando dell'espressività degli esordi. Nel contempo come regista lascia un po' a desiderare: siamo al secondo tentativo di narrazione corale, dopo il precedente Predatori e, al di là di un forte citazionismo nonché, va detto, di alcuni momenti di ottimo cinema, non si capisce dove vada a parare. In più il casting familiare (papà e fratello) sembra un po' forzato.
L'opera è incentrata sugli eccessi della "Roma bene" ma procede a fasi alternate; la vicenda è abbastanza oscura e con parecchi salti nella fluidità del racconto; domina un certo irritante autocompiacimento e i movimenti della macchina da ripresa non hanno un collegamento con le scene in cui si svolgono. Pesante il romanesco "foresto" già fuori dal GRA e, nonostate la lunghezza, i personaggi restano sempre a due dimensioni. Insomma, un tentativo pseudo sorrentiniano non riuscito. Imbarazzante il finale zavattiniano. Gozzanianamente un mazzo di rose che non colsi... Evitabile.
Raccontare un'umanità vuota con un'estetica glaciale secondo la lezione di Paolo Sorrentino non riesce sempre a Castellitto, che azzarda scelte formali talora poco centrate, ma in altre occasioni dimostra una buona capacità di composizione dell'inquadratura. Mancano inoltre una capacità di sintesi, con alcune scene meritevoli di sforbiciata; evanescente il personaggio femminile che fatica ad avere un suo spessore. Certi elementi di merito (i dialoghi con Dionisi, per esempio) segnalano delle capacità che forse in futuro si esprimeranno e struttureranno al meglio.
Continua a venire in mente il nome del primo Moretti come sorgente "elettiva" del Cinema di Castellitto, certo un'autarchia come dire "glamour", con un gusto della visione più estremo, mossa tuttavia da un'analoga radicalità narcisistica pur figlia dei tempi che corrono. E se il discorso narrativo è in alcuni punti artefattamente compiaciuto e soprattutto, parrebbe, ambiguamente indefinito allo stesso autore, sul piano invece dell'immagine, del guizzo poetico, della "licenza filmica" l'opera, si fa notare per una coerenza interna le cui ellissi di sincerità sorprendono ed emozionano.
MEMORABILE: Il lungo piano sequenza della festa disco; Sergio Castellitto e la lettera della paziente; Adamo Dionisi e il monologo in auto prima dell'agguato.
Seconda fatica registica per Pietro Castellitto e rispetto a i predatori la maturazione c'è, non tanto dal punto di vista registico, quanto nella caratterizzazione dei personaggi. Il film si incentra sulla mancanza di comunicazione tra genitori e figli in un ambiente apparentemente protetto: la Roma bene; circoli privati, ristoranti stellati sono teatri di dialoghi inconcludenti. Tutti non vedono o fanno finta di non vedere. Papà Sergio non delude mai, bravo a rivelare pian piano il suo personaggio. Finale scontato ma di effetto. Promessa mantenuta.
MEMORABILE: L'espressività della Porcaroli sul finale; Il dialogo alla cena di Natale.
Castellitto junior apprende (male) la lezione di Sorrentino e descrive la solita Roma bene in cui si muovono con disinvoltura personaggi armati di quel cinismo a cui il cinema dell’ultimo periodo ci ha abbondantemente abituati. Fra cene sontuose, locali alla moda assordanti, abiti lussureggianti, si pasce l’usuale scontentezza per la vita, i cui valori non si capisce quali siano o se ci siano. Insomma una noia mortale, soprattutto nella seconda parte, scontatissima. Bocciato.
Il giovane Castellitto dimostra con questo film di essere artisticamente ambizioso, dando vita a un film assai poco convenzionale. Due amici dell'alta borghesia romana, per fuggire da quella monotonia esistenziale di cui soffrono i rispettivi genitori, si dedicano a festini e soprattutto allo spaccio di droga. Attraverso giochi di luce, canzoni dell'epoca e discorsi volutamente superficiali, l'affresco di questo mondo è delineato con una certa padronanza stilistica. Collegare questa parte con quella relativa alla criminalità non era facile e non sempre il regista ci riesce.
Storia di due ragazzi romani borghesi uniti da una insanabile e vigorosa amicizia. Si affrontano anche tematiche legate all'amore e alla solitudine. Purtroppo il tutto viene raccontato in maniera soporifera e senza coinvolgere il necessario. Si rasenta lo stereotipo e il prevedibile. Cast tutto sommato convincente. Discreta la fotografia. Mediocre la colonna sonora.
Una bella sorpresa l'opera seconda di Castellitto jr: la sceneggiatura sa descrivere bene personaggi e situazioni. La storia ha una sua verve e sebbene all'inizio sia un po' ondivaga, cosa non certo disdicevole, alla fine trova una sua compattezza e scioglie tutti i nodi. Tra l'altro, come raramente accade in un film italiano e non solo, il plot sa sorprendere tanto che non si sa bene come proseguirà: peccato per il calo nell'ultima parte che si fa prevedibile, finale compreso. C'è anche un bel gusto visivo e una interessante perizia tecnica. Ben diretto il cast.
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Nella scena della festa di Natale famigliare, Sergio Castellitto canta una canzone popolare con queste parole: "mò vi canto la romanza, la romanza mò vi canto, sula logeta de fero de fero...". Qualcuno la conosce e sa dire qualche cosa di più di più su questo particolare?