Valladares in confezione amatoriale (sospetto fortemente che i tre episodi, messi insieme per formare
Dirty Love, siano in realtà tre cortometraggi realizzati dal regista prima del 2009. Prova ne sarebbero i titoli di testa su ogni episodio e l'ultimo "You like this"? è datato 2003), con pellicola sporca e sgranata, piena di graffi, a ribadire lo stile sozzo/grindhouse dell'operazione.
Il sottoscritto non riesce più a reggere robaccia amatoriale "extrema" senza alcun contesto narrativo ed è proprio la quintessenza di tutto ciò il primo episodio
Eat me tender (non nego che stavo per stoppare la visione ad un certo punto).
Storiella miserissima di un serial killer cannibale soprannominato "El tigre", di alcuni poliziotti imbecilli che le danno la caccia, di battutte scellerate (quella sul pene mozzato infilato nel sacchetto, un palese fallo di gomma) e di una coppia di improbabili maniaci (lui interpretato dal fratello del regista, Marcelo Valladares, che si prodiga con trapani fallocratici
drillerkillereschi imitando le mossette del Buffalo Bill del
Silenzio degli innocenti, nascondendosi gli attributi tra le gambe) che , facendo sesso strong, cominciano a divorarsi l'uno con l'altra (le solite frattaglie). Il tutto sotto l'insopportabile e fastidiosissima colonna sonora di grida distorte, racconti di orge sataniche, zoofilia e cannibalismo (con sottofondo la lynchiana "Love me tender" di Elvis, giusto per dare un tocco stridente) e l'ignobile scelta di mostrare le foto del cadavere di Elizabeth Short, spacciandola per una vittima di "El tigre". La solita robaccia finto estrema da cassonetto e dal mal di testa.
Va un po meglio, ma non di molto, col secondo episodio
No ordinary love. Dove un tranquillo, all'apparenza, padre di famiglia felicemente spostato, affitta una stanza di uno squallidissimo motel nel centro di Santiago, per dilettarsi con una prostituta.
Il fatto è che l'ometto si eccita solo con la sofferenza altrui (e propria) e la costrizione sessuale (le foto bondage di corpi femminili legati che le tormentato la mente) e sottopone la prostituta (legata al letto) a sevizie e torture sessuali, sfogando le sue perverse fantasie sadomaso. Un farlocco pene in erezione in puro stile Tinto Brass (che poi assume, grottescamente, le sembianze henenlotteriane di Elmer) intinto nelle schegge di vetro di uno specchio rotto previo profilattico serve per penetrazioni al sangue (punto di vista all'interno della vagina, gasparnoeniano dei poveri, o un po come la lama del pugnale che colpiva il cuore di Eva Axen in
Suspiria) per poi, all'apice del piacere e del dolore, farsi infilare gli aghi sul glande dalla prostituta stessa, in un terrificante effetto in CG. Anche quì la solita sbobba torture, più noiosa (e triste) che altro.
Il terzo segmento "Yuo like this?" quello più narrativamente accettabile e realizzato con maggiore cura da Valladares, in una tenue parvenza di cinema vero, quasi un Pedro Almodovar andato in acido o un Bigas Luna sotto anfetamina, dove un omosessuale represso, infelice e angariato dalla moglie insensibile, sogna estreme performance omoerotiche (squallidissimi e laidi filmetti porno gay compresi) con un suo ipotetico compagno. Finchè non deciderà l'atto estremo, un cambio di sesso fai da te, nella doccia, assai disgustoso e repellente. Almeno Valladares si è impegnato abbastanza, e la storiella torbido/gaya è pregna di solitudine, alienazione, autodistruzione e automutilazione.
A fare da collante agli episodi c'è il "cowboy" Toro Loco , una macchietta robertodrigueziana poverissima, che gira con un teschio di vacca a fare il giustiziere e il moralizzatore , uccidendo a destra e a manca chi ha partecipato alla realizzazione di
Dirty Love (demenziale e improponibile stoccata metacinematografica), per poi scontrarsi, con effetto comico davvero deprimente, con un idiota che sarebbe una sottospecie di Sgt. Kabukiman.
Paccottiglia trashosa e spesso inguardabile, insomma, che se non fosse per il terzo episodio (che una sua dignità filmica ce l'ha), sarebbe da relegare tra la massa informe e puzzolente dei filmini fatti in casa la domenica pomeriggio, con il gusto per l'estremo che lascia totalmente indifferenti e parecchio annoiati.
Da menzionare il risibile avviso con conto alla rovescia (stile William Castle o i gingle di
Cannibal girls) che esce prima delle sequenze di "estrema violenza e sesso", che ammonisce il povero spettatore a non continuare nella visione(!).
Non sembra nemmeno il Valladares, che di lì a poco, sfornerà quel piccolo gioiellino che è
Hidden in the woodsPer chi ama sollazzarsi con sevizie (farlocchissime), sesso malato e perverso e violenza tanto esasperata quanto fittizia. Con il solo scopo di provocare e sconvolgere, ma che ottiene solamente l'effetto contrario.
Unica nota positiva lo scurrile linguaggio, quasi da film porno e alcuni pezzi, dalle melodie messicaneggianti, nella OST.