Boy kills world - Film (2023)

Un esempio dell'action ipercinetico diffuso al momento, è una sorta di revenge-movie ispirato da certe graphic-novels che punta tutto sul ritmo incessante e sulla spettacolarità delle riprese; la scuola è sempre quella di derivazione Matrix e John Wick, a partire dalle coreografie con salti impossibili e soventi ralenti, più un utilizzo massiccio della CGI anche per il sangue e per gli spari. Tra slanci splatter e altri umoristici, nulla di nuovo, così come il brutto vizio di allungare la durata a quasi due ore, una follia per un lavoro del genere; gli adulti rischiano di annoiarsi.

Curiosa coproduzione tedesco-americana-sudafricana che sembra una diversa versione, con più soldi, di Mad Heidi. Anche qui un'assurda dittatura in Sudafrica (il dittatore: Famke Janssen), l'invincibile giustiziere, la ribellione finale dei buoni con condimento di combattimenti in stile John Wick (ormai un must), splatter, demenzialità e presunta ironia. Divertiva di più la crowfunding svizzera forse per una maggiore naif originalità. Qui, dopo il divertente prologo alla Karate Kid, la solfa è un po' sempre la stessa. L'ennesimo Skarsgard convince poco e la durata annichilisce.

In un futuro distopico governato da una dittaura, un ragazzino sordomuto viene allenato da uno sciamano al fine di diventare una letale arma da combattimento per grado di vendicarsi di coloro che hanno sterminato la sua famiglia... All'inizio incuriosisce per la presenza di Yayan Ruhian, il formidabile antagonista in The raid, ma la sceneggiatura confusa e derivativa mostra ben presto la corda e questo action, che si propone come ironico e divertente, finisce per trasformarsi in una sequela di botte da orbi splatter, insensata e alla lunga noiosa quanto un corso di uncinetto.

Splatter a tutta randa, piroette e capriole, scariche di action grullo e sovraccarico: in quanto baggianata dichiarata sarebbe anche piacevole ma, assodato che il 70% del film proviene da quel Mad Heidi che perlomeno era ruspante, quel che latita è la spontaneità, con una costruzione che pare nei minimi dettagli studiata a tavolino e che non consegna mai qualcosa di realmente sorprendente. Come il film stesso, Skarsgård a tratti rifulge ma è tutt’altro che essenziale. Lo salvano le pretese che scemano man mano, in quanto unica scusa per ricalibrare verso l’alto la valutazione.