Il cinema di Gianni Di Gregorio è sempre fatto di storie piccole, raccontate con grazia e leggerezza. Quest'ultimo "Astolfo" non fa eccezione, confermando le caratteristiche che fanno apprezzare il regista/attore al suo pubblico. Il protagonista si reca in una sua vecchissima magione in provincia in quanto sfrattato dal suo appartamento romano; qui troverà la casa occupata da una persona più sfortunata di lui e interlaccerà relazioni umane molto profonde e, forse, troverà anche l'amore. Situazioni quotidiane raccontate con ritmo blando, che ben si addice all'età dei personaggi.
Di Gregorio non si smentisce e continua lo stile Di Gregorio, raccontando una storia semplice, “complicata” dalle situazioni e dalle persone che si incontrano nel corso della vita. Può un uomo al suo “tramonto” trovare nuovi motivi per stare al mondo e sorridere all’amore ancora una volta? La risposta è in questa specie di fiaba contemporanea, nella quale si ride di gusto e a volte con un senso di amaro in bocca. Complementari il protagonista e l’efficace Sandrelli.
MEMORABILE: Il sindaco e il prete del paesello, uniti infingardamente.
Bello e garbato come nello stile della casa. Il "professore" conserva la propria profonda umanità condita da quel pizzico di remissività che ce lo fa tanto amare e sposta il suo raggio d'azione nella provincia romana. Una provincia dove si può godere di un ambiente tranquillo e pulito, ma lo stesso non si può dire delle persone che ne amministrano i valori materiali e spirituali. La battaglia col prete, già lombrosamente odioso, è emblematica ma che dire del gretto figlio di Stefania? Deliziosi invece i siparietti, anche gastronomici, tra il quartetto di simpatici conviventi.
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