Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.
Protagonista del film è il personaggio “reale” da cui è tratto il giocattolo coprotagonista della saga di Toy story. Il film risulta di fatto più apologetico che satirico nei confronti dei marine dello spazio – questo sono i ranger spaziali – ed è appesantito dalla filosofia LGBT che ultimamente sembra accompagnare molte produzioni Disney. Il risultato finale è comunque gradevole, con riferimenti ai vari topoi del filone fs (non ultimi i paradossi temporali) e il colpo di scena (quasi) finale non giunge telefonato. Potabile, almeno per una volta.
Film che riesce a spiazzare lo spettatore (riuscendoci) ammantandosi per buona parte dei panni tutto sommato banali e “rassicuranti” del solito thriller dai connotati orrorifici. Ci sono bambini scomparsi, tanti, troppi, c’è un rapitore in giro, o più d’uno, o un serial killer, o trafficanti di organi. O no? O è l’uomo nero, alto? A ben vedere non sarebbe l’unico mostro in circolazione. Ci vuole coraggio a fare un film del genere e, per quanto imperfetto – gli si può rimproverare più d’un calo di ritmo – quel che conta è l’interrogativo finale.
Spesso il lavoro è un'ottima occasione per conoscere qualcuno con cui iniziare una relazione: qui si calca un po' la mano per ragioni sceniche, ed ecco quindi una matura (ma ancora bella) decoratrice fare breccia addirittura nel cuore di un ambasciatore (ovviamente affascinante): l'atmosfera natalizia in effetti si percepisce tutta, eppure la pellicola (dalla trama abusatissima) stenta a decollare e, cosa peggiore, non riesce a trasmettere le emozioni che dovrebbe (complice un cast che pare voler completare in fretta il compitino, oltre ai dialoghi noiosi e forzati). Per romantici.
In assoluto, una delle migliori trasposizioni cinematografiche tratte da un romanzo di Stephen King e, nello stesso tempo, l’horror capolavoro degli Anni 70. Un De Palma sognante, estatico, in equilibrio tra dramma e terrore, accurato nel rappresentare il crepuscolo emotivo dell’adolescenza, impietoso nella sua discesa catacombale. L’OST di Donaggio è un Requiem solenne e doloroso, Piper Laurie e Sissy Spacek inchiodate per sempre nel Gotha dell’eccellenza attoriale.
Stanco dopo una giornata di lavoro, un chirurgo rifiuta di ricevere una paziente presso la sua abitazione invitando il marito a recarsi all'ospedale, ma la donna muore a causa di una diagnosi sbagliata... Ambientato in Libano ma girato interamente in Spagna, un film dal ritmo lento e avvolgente nella prima parte che diventa sempre più pressante nella seconda, in cui i due uomini si ritrovano faccia e faccia. Per quanto diretta con mano salda e ben interpretata, sono soprattutto le sequenze nel deserto a rendere particolare questa storia di vendetta culminante in un epilogo feroce.
Il progetto di Zemeckis è particolare ma talmente esagerato nel frammentare la storia che impedisce di goderselo. Non è solo l'ambizione dell'autore che ci trascina dall'era preistorica all'ultimo secolo e che lo ammanta di dettagli e dialoghi immancabilmente retorici sulla famiglia a stelle e strisce. E' proprio la struttura che non funziona, tanto che già a metà opera parteggi unicamente per la coppia istrionica dell'inventore di poltrone e di sua moglie, immersi in un arredo deliziosamente barocco. Mentre gli altri quadretti continuano a non dire niente o a diventare melensi.
Una ragazza corre disperata nel verde, grida, forse è inseguita. Tre mesi dopo sempre lei, Fey Connelly (Forsberg), si risveglia in un letto ancora preda di incubi. Venne ritrovata in fondo a un crepaccio, al tempo, da Curt (Lane), un suo coetaneo che le salvò la vita e ora è ogni sera ospite in casa loro. Beth (Bogart) e Frank (Boaz), i genitori di Fey, gli sono riconoscenti, ovviamente, mentre Fey comincia a sospettare che Curt voglia un po' troppo, da lei. Ma la cosa più importante, per la ragazza, è capire cosa accadde quel giorno, perché l'amnesia...Leggi tutto le impedisce di ricordare: sa solo che l'amica che era con lei, Maddie, si suicidò presumibilmente poco prima che lei finisse nel crepaccio. Lentamente, tuttavia, la memoria riaffiora e Fey si rivede insieme a Maddie in una spiaggia di sabbia rossa che nessuno, sull'isola dove è ambientata la vicenda, dice di conoscere.
Fey si confida allora con una nuova amica, Ali (Delva), che vorrebbe aiutarla, mentre una gran bella bionda (Holliday) si presenta nell'agenzia immobiliare di famiglia dove lavora Beth chiedendo di Frank. Sarà l'amante? In realtà, in precedenza, fu Beth a tradire il marito, non il contrario. Lui seppe perdonarla mostrandosi integerrimo in ogni situazione, perché i Connolly hanno una reputazione, sull'isola (il nonno fu tra i fondatori della prima comunità). Ma intanto le condizioni di Fey non sono affatto buone: continua a soffrire di improvvise crisi legate a quel momento tragico del suo passato, e c'è un po' da capire la vera natura dei protagonisti; di Curt, ad esempio, che chiede insistentemente a Fey di uscire con lui; ma anche del padre, che la bella bionda prosegue a cercare non si sa per quale motivo. Sul computer dell'uomo, intanto, sua moglie trova un movimento inspiegabile di diecimila dollari.
Sono molti i segreti nascosti in un soggetto strutturato in modo da non lasciare niente di non svelato, come si può immaginare. Una storia quindi fitta di accadimenti, con qualche inatteso colpo di scena compreso quello finale, parzialmente inatteso e che fa capire come l'intreccio sia studiato con una certa accuratezza. E' la realizzazione a lasciare a desiderare, come spesso accade in questi thriller televisivi di modesta fattura. Un po' per la recitazione - che comunque in questo caso si attesta su livelli dignitosi - un po' per dialoghi semplicemente di servizio, per una fotografia piatta e, soprattutto, per una regia che manca di quella brillantezza che marca la differenza tra le produzioni di qualità e quelle che non lo sono.
La Forsberg è lagnosa, lamentosa, preda di crisi che durano troppo senza motivo, la Bogart (habitué del genere) anonima mentre, per una volta, sono le figure maschili a lasciare semmai il segno: ambigue entrambe (Frank e Curt) eppure sfumate e di una certa solidità (soprattutto il padre), si segnalano come quelle che danno un senso al film, altrimenti prigioniero di una piattezza che sconfina nel patetico, con la storia del povero pappagallino in gabbia che diventa in seguito metafora della fuga da una vita che non offre quello che si sperava. Se non altro ci viene risparmiata la solita inutile scena consolatoria pre-titoli di coda: si chiude in fretta senza troppa gloria sulla scena del rendez-vous finale. Peccato, perché una storia dietro c'era...
Miniserie in due puntate coprodotta tra Italia e Australia (dove è interamente ambientata), racconta le vicende di tre ragazzi di diverse età che si conoscono e crescono insieme in un orfanotrofio: Danny (Hardi) è il più grande, un adolescente, e Frances (Elliot) ha pochi anni di meno. Chi fa loro quasi da mascotte è il piccolo e dolcissimo Paulie (Gilmore), che completa il gruppo. Quando i tre vengono adottati da tre diverse famiglie, per loro comincia una nuova vita, fatta più di giorni tristi che di soddisfazioni, ma non solo per colpa dei genitori. ...Leggi tutto Paulie sembra il più incolpevole: è chiamato a sostituire nei cuori di papà e mamma un figlio morto e fin da subito il padre, sognando possa ripetere i successi nel calcio del vero figlio, lo costringe ad allenarsi senza sosta col pallone, benché sia evidente quanto non sia quella la sua strada. Frances, invece, vive un rapporto conflittuale soprattutto con il padre (Blackwell), ma anche la moglie (Toppano) di questi fatica a entrare nelle grazie della ragazza. Particolarmente introversa, Frances trova amicizia in un'anziana libraia specializzata in occultismo (Leith), con cui condivide uno speciale potere (la telecinesi, anche a distanza!). Danny infine, ossessionato dalla ricerca della propria madre biologica (vuol sapere perché l'ha abbandonato), viene adottato da una ricchissima famiglia il cui padre (Olsen) esige da lui innanzitutto impeccabile educazione. Martha (Lyons), la nuova madre, è invece forse la persona che più riesce a comprenderlo stabilendo con lui un bel rapporto d'affetto. Il padre di lei peraltro, il vecchio Bops (Spencer), è un ex pugile che vive con loro e che subito prova simpatia per Danny, mettendosi in testa di allenarlo per farlo sfogare con i guantoni.
Tre situazioni diverse studiate senza ricorrere a banalità eccessive, piuttosto ben rese pur all'interno di un prodotto nel complesso modesto, soprattutto a causa degli inevitabili limiti di recitazione dei ragazzini: solo il piccolo Gilmore, che suscita tenerezza e mostra lodevole spontaneità, sa reggere con furbizia il suo personaggio, gli altri due si rifugiano in bronci, intristimenti, sfoghi improvvisi che non depongono certo a favore della sceneggiatura. Bud Spencer, barba lunga e occhi strizzati, non si vede quasi mai nella prima puntata ma si guadagna un suo spazio nella seconda, affiancando nell'avventura in campagna la Leith e dando un senso alla sua partecipazione.
Se però nella fase di sistemazione in famiglia la miniserie (la durata totale è di tre ore) funziona, aiutata dalla recitazione matura dei genitori, quando i rancori dei tre ragazzini nei confronti delle loro nuove famiglie si concretizzano in una fuga, il tutto comincia a perdere colpi. L'avventura nuoce a un'opera che si muoveva al meglio nello studio delle relazioni tra genitori adottivi e figli, mentre già quando i tre si ritrovavano incontrandosi tra loro si capiva che non troppo aveva da dire. I “tre per sempre”, insomma, non sembrano così affiatati come la situazione necessiterebbe e il film ne risente, per quanto venga mantenuta un'apprezzabile misura e, almeno inizialmente, non si ricada nel rischio di nuotare in un mare di melassa. Lascia più di un dubbio la scelta di assegnare lo strano “potere” a Frances, poco pertinente in una produzione che punta a raccontare drammi adolescenziali attraverso sentimenti reali. Finale commovente quanto ovviamente telefonato, e il goffissimo incontro di boxe in chiusura ce lo potevano risparmiare...
Thriller in alta quota per Mel Gibson, il quale, dopo i progetti ambiziosi che ne hanno spesso caratterizzato la carriera da regista, scende di livello per tuffarsi in un B-movie facile facile che punta tutte le sue carte sulla tensione. Non solo quella data da un volo di difficilissima gestione, ma anche quella garantita dall'avere a bordo uno spietato killer armato di cattivissime intenzioni. Non ci mette molto il film a entrare nel vivo dell'azione: dopo un breve incipit nella camera di un motel dove Winston (Grace), il supertestimone prossimo a dare il suo fondamentale contributo per...Leggi tutto incastrare un boss, viene fermato dalla Polizia e ammanettato perché non possa fare scherzi, ci si sposta già sulla pista di un aeroporto.
La US Marshal Madolyn Harris (Dockery) sale sull'aereo privato che dovrà portarla, insieme a Winston, ad Anchorage (siamo in Alaska), da dove poi partire per Seattle. Il pilota che li accoglie (Wahlberg) si mostra scherzoso, ha voglia di parlare con qualcuno e, fin da quando decolla, non smette per un attimo di farlo. Madolyn non ne può più, mentre Winston, seduto e incatenato al suo posto poco più indietro dei sedili di guida, mostra un simpatico spirito ironico a sua volta poco apprezzato dalla donna. Qualche scossone, un uccello che si schianta sul vetro spaventando Madolyn, le ciance del pilota che, nelle cuffie che fa indossare anche alla donna per parlarle, mette in loop "Blue Monday" dei New Order: una situazione che resta comunque piuttosto nella norma fino a quando una frase del pilota mette in allarme Madolyn: sa qualcosa che non dovrebbe sapere. Come mai? Semplice: quello non è l'uomo che dovrebbe essere ma qualcuno mandato dal boss contro il quale Winston dovrà testimoniare e il suo obiettivo è uno: uccidere quest'ultimo.
La tensione esplode d'improvviso a bordo e inizia l'avventura ad altissimo rischio che non ha in sé nulla di nuovo ma si propone il difficile compito di riuscire a intrattenere per la tradizionale ora e mezza senza mai uscire dall'abitacolo dell'aereo. E' un sottogenere ben preciso, quello a location unica, e per funzionare richiede una sceneggiatura di ferro o in alternativa una regia di alta qualità in grado di mantenere alta la suspense, facendoci dimenticare le limitazioni date dall'unità di luogo. In questo caso la sceneggiatura non è certo virtuosistica, ma Mel Gibson dietro la macchina da presa ci sa fare e sfrutta bene gli spazi spostando l'attenzione da un personaggio all'altro e aggiungendovi le pericolose evoluzioni del velivolo.
La credibilità va perlopiù a farsi benedire, Wahlberg (per l'occasione mezzo pelato in testa e... senza l'utilizzo di effetti speciali, come ha tenuto a precisare: semplice rasatura), in un raro - per lui - ruolo negativo, non è sempre sopportabile per quel suo salire esageratamente sopra le righe che conduce alla macchietta. La Dockery non è troppo empatica ma fa quel che deve, Winston contribuisce alla vena ironica con qualche intervento azzeccato. Ma in questo senso chi ha buon gioco è la voce che da terra dovrà aiutare il velivolo a non schiantarsi. Le spiritose avance via radio a Madolyn sdrammatizzano e donano spesso relativa brillantezza all'azione. L'unica variante importante è data dalla scoperta che qualcuno, in Polizia, fa il doppio gioco, e Madolyn è coinvinta di sapere chi sia. Una sorpresa che a fatica regala un po' di interesse a una vicenda un po' stantia che tuttavia si segue con un buon grado di coinvolgimento. Niente di eccezionale o di originale, è evidente, ma come thriller ad alta quota si lascia guardare volentieri.
Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA
L'ISPETTORE DERRICK
L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA