Discreta riduzione cinematografica del capolavoro di Kafka, girata da Haneke secondo i suoi canoni: regia essenziale e spoglia, ritmi dilatati e sobri, scenografie scarne e
nessuna colonna sonora. Tutto è abbastanza funzionale al racconto ma mancano un pieno coinvolgimento (che nell'opera
letteraria non mancava certo) e una regia più inventiva
dal punto di vista visivo non avrebbe guastato.
Tratto dal celebre romanzo di Franz Kafka, Haneke ne ricalca con meticolosità lo spirito, non tradendo mai il benché minimo piglio autoriale, storicamente fautore di "scempi" traspositivi. In realtà è la storia a calzare a pennello con la perizia e la propensione alla maniacale minuzia del regista, facente sfoggio del consueto stile asettico, che qui come non mai rende squisitamente bene l'aura surreale, opprimente e destabilizzante del romanzo. Ci sentiamo catapultati in un mondo di alienazione e di grovigli buroctraici: non è piacevole.
Il romanzo incompiuto di Kafka si trasforma con Haneke nella distaccata rappresentazione della gelida morsa del conformismo e della solitudine. Il regista si concentra sulle figure umane, sugli angoli di dimore fatiscenti, sugli scorci di una strada innevata, sempre quella, che non fanno vedere altri orizzonti. Un senso di oppressione non kafkianamente metafisico, ma tristemente borghese. Perfino l'amore è vissuto stancamente, più per dovere che per gioia. Nel grigio uniforme di una fotografia livida. Con un finale che lascia a boccaperta.
Nella ridotta filmografia degli adattamenti kafkiani (in cui si annoverano Il processo di Welles e Rapporti di classe di Straub e Huillet), l'opera non brilla particolarmente per effetto artistico e impatto emotivo. La chiave della poetica di Haneke, la sfida ai conformismi e alle aspettative dello spettatore, è qui declinata quasi come competizione con l'opera letteraria, rispetto alla quale è talora spocchiosamente palese la volontà di eccederne il senso di claustrofobica inanità. Ottime comunque l'atmosfera di gelo perenne e la prova di Muhe.
Dal romanzo incompiuto di Kafka, Haneke traspone per immagini il senso di angoscia e crescente desolazione che avvolge il protagonista, vittima di una folle sorte scaturente dall'incarico di lavoro affidatogli in una remota comunità governata da un irraggiungibile signore che dimora nel castello. Il senso di alienazione e oppressione, tipica dello stile di Kafka, è materializzato da un'attenta fotografia claustrofobica, con interni sgualciti ed esterni colpiti da avversità ambientali (buio, freddo e bufere di neve). Angosciante e un po' lento.
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DiscussioneZender • 22/02/10 11:30 Capo scrivano - 47804 interventi
Perché mi sa che per molti è noto come "The castle". Inoltre l'inserimento di caratteri non italiani mi crea dei problemi e ho dovuto scrivere schloss con la doppia s che corrisponde al carattere tedesco. Potrei comunque metterlo negli aka, the castle, se prefersici.
Francamente l'ho sentito sempre nominare col suo titolo originale, ma questo conta poco... Tempo fa avevo capito che, in caso di inedito, andava messo il titolo internazionale; in questo caso IMDb non lo cita, forse sarebbe meglio inserire quello originale (come per Der Siebenete Kontinent, tralatro).
ps Schloss va benissimo, è la "traduzione" di quello strano simbolo germanico...
DiscussioneZender • 22/02/10 11:54 Capo scrivano - 47804 interventi
Ok, fatto. Ho lasciato il the castle tra gli aka anche per giustificare la locandina.