Una delle serie più belle ed eccitanti di questo periodo! Una cucina disfunzionale di un ristorante di Chicago gestita dal fratello di un italoamericano suicida che lascia tutto in eredità al fratello più piccolo (uno strepitoso Jeremy Allen White, il nuovo Al Pacino), chef di enorme talento che deve fare i conti con il suo bear interiore (da qui il titolo della serie), che altro non è che il suo problema con l'alcol. Il cast è notevole (spicca Ebon Moss-Bachrach, l'attore che interpreta il cugino testa calda e attacca brighe dal cuore d'oro), la serie pure.
Chi ha visto Shameless dovrà abituarsi al nuovo doppiatore di Jeremy Allen White, visto che il precedente era piuttosto bravo. Ma a parte questo, la serie funziona, grazie a una certa originalità e alla caratterizzazione dei personaggi, che compongono una delle brigate più singolari del panorama culinario. Non si parla solo di piatti e tecniche, anzi. Ma è proprio questo a rendere il tutto più vero, viste le numerose problematiche che i protagonisti devono affrontare, soprattutto l'erede del ristorante, chef talentuoso finito, dalle stelle vere e proprie, alle stalle. Riuscito.
MEMORABILE: Mentre il padre vola dal parabrezza un bambino lo saluta; Caos in cucina per l'asporto; Il discorso agli alcolisti anonimi; Barattoli con sorpresa.
Come trasporre lo spirito del cinema indipendente americano in una serie tv. "The bear" è una serie che avrebbe potuto realizzare Scorsese qualche anno fa. Impregnata di spirito metropolitano (è ambientata a Chicago), è centrata sulle nevrosi e sui demoni personali di un gruppo di personaggi che lavorano nella cucina di un locale cittadino. L'orso del titolo è il demone dell'alcol che affligge il capo chef, anche proprietario del ristorante. Le sue interazioni sono il fulcro degli episodi, sempre condotti sul filo della tensione emotiva e ottimamente diretti. Da vedere.
Sincopata e tirata come un film del divo Martino dei bei tempi, questa serie ambientata a Chicago va a energicamente al sodo di vite storte che ruotano tutte attorno a un ristorante da reinventare. A colpire, oltre al ritmo, è la profondità di scrittura che riesce a dire molto in poco tempo, a intessere intriganti dinamiche e a restare in equilibro tra partecipazione emotiva e occhio clinico, ma senza scadere nella commiserazione o nell'eccesso di nero. Attori tutti in palla, dal tormentato Allen White fino allo spiritato Moss-Bachrach. Atmosfera metropolitana resa grandiosamente.
Quasi tutto concentrato all'interno delle cucine di una tavola calda in un quartiere di Chicago che lo chef Carmy e il cugino devono portare avanti tra mille difficoltà soggettive (affettive ed economiche) insieme a uno staff variegato e non meno problematico. Un grande ritmo e un susseguirsi di situazioni frenetiche per una serie tv che punta in gran parte su derive psicologiche standardizzate e i contrasti tra i protagonisti che rischiano di apparire inautentici. Ben messa a fuoco l'ambientazione e soprattutto il dinamismo delle scene in cucina; ottima scelta delle musiche.
MEMORABILE: La responsabilità dell'organizzazione affidata a Sydney; Il blackout; La rissa nel locale; Le lattine di San Marzano con sorpresa.
"L'orso", in effetti, potrebbe essere un'opera del vecchio Scorsese fra cugini, famiglie e nevrosi che bagnano tutto il racconto. Proprio quest'ultimo è un continuo susseguirsi di un ritmico accavallarsi di situazioni sempre pronte a divenire piccoli drammi. Quasi unicamente funzionale al tutto il quotidiano cucinare tratteggiato con un'eccellente fotografia e buone musiche che culminano in una "Let Down" dei Radiohead da chiusura stagione. Il cast va a meraviglia, a cominciare dal suo protagonista. Un senso di malessere indotto, tuttavia, colpisce e piace ma frena pure un po'.
Inaspettatamente bella questa serie-tv in cui si parla di cucina, "alta" e "bassa", di ristorazione, amicizia, amore, famiglia. Il mix di ingredienti è quello giusto, ma a colpire particolarmente è la scrittura, fatta di bei dialoghi, di situazioni coinvolgenti che alternano dramma e commedia e di un cast di attori tutto in palla. Non si esagera mai - nemmeno in durata ché il minutaggio degli episodi, a parte un caso, si attesta sui quaranta minuti - i ritmi sono sempre buoni, coadiuvati dall'ottimo montaggio e la qualità è omogenea in entrambe le stagioni.
Nel sovraffollato panorama delle serie TV, "The Bear" si erge fiero: condensato, compresso, stressante come solo un turno in una cucina reale potrebbe essere. Casting ai massimi livelli per due stagioni da capogiro. Tutto sembra quasi costruito per arrivare al climax (che non è il finale di stagione...) in cui gli attori mettono in piedi uno show corale perfetto grazie anche alla bravura di Jamie Lee Curtis in un cameo che vale il prezzo del biglietto. Un po' Polanski, un po' Scorsese, "The Bear" è una cavalcata veramente sorprendente. La terza stagione è in arrivo a giugno.
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