Da Sidney Lumet ci si aspetta sempre un film solido, ben costruito, professionalmente impeccabile, e NIGHT FALLS ON MANHATTAN non delude le attese. Pur proponendo l'ennesima indagine sulla corruzione che serpeggia alla narcotics, sa avvincere per l'elegante sceneggiatura, per la bravura dei suoi interpreti. Centrale è il rapporto che lega l’avvocato in carriera Andy Garcia al padre poliziotto Ian Holm (che quasi ci resta secco durante una pericolosa operazione antidroga in apertura): i successi del primo, che difenderà il genitore guadagnandosi la candidatura a procuratore distrettuale, vanno di pari passo con l'evoluzione di un'inchiesta sulla corruzione avviata...Leggi tutto proprio contro i colleghi del padre (tra i quali spicca il bravo James Gandolfini). Fin dove avrà il coraggio di spingersi il desiderio di perseguire ogni crimine, senza distinzione, del buon Garcia? Il segreto della riuscita del film sta tutto in questo interrogativo, che apre la strada a una serie di riflessioni destinate a complicarsi minuto dopo minuto. Lumet sbriga con incisività la pratica processuale (dove compare come antagonista un ottimo Richard Dreyfuss) per proseguire con una seconda parte più interessante, in cui la figura di Ian Holm si fa più importante e quella di Lena Olin (la fidanzata) comincia ad avere un senso logico. E’ solo nel poco riuscito epilogo che Lumet allenta la tensione, perché prima ci fa assistere a un dramma poliziesco sicuramente poco originale (anche se non banale e comunque intelligentemente imbandito) che però appassiona nei suoi risvolti psicologici ricordandoci che quando si e registi di rango l'approccio è sempre maturo.
Buon film (piuttosto ignorato da pubblico e critica) diretto dal grande Sidney Lumet. Come molte altre opere precedenti del regista americano (si pensi a Sepico) l'opera (ambientata come di consueto a New York) affronta il tema della corruzione nel corpo di polizia ma parla anche dei rapporti tra morale e politica e tra cittadini e giustizia. Non totalmente convincente la prova di Andy Garcia (forse non adatto al ruolo). Migliori le prove dei comprimari (specie Ian Holm).
Un narcotrafficante uccide alcuni poliziotti: per sfuggire all'arresto o per evitare un'esecuzione da parte di agenti da lui corrotti? Lumet mette in scena un film solido e senza fronzoli, ben scritto e ben interpretato, soprattutto dal bravissimo Ian Holm nella parte del vecchio detective onesto, coinvolto in una brutta storia su cui indaga il figlio, procuratore rampante. La legge è inflessibile ma gli uomini sono fallibili, per avidità, paura o amore. Niente di nuovo, ma raccontato molto bene.
Avvocato alle prime armi, acquistata notorietà con la condanna di un trafficante di droga assassino, una volta eletto nuovo procuratore-capo deve indagare su alcuni poliziotti corrotti, compreso suo padre... Lumet affronta un tema a lui caro ma il film, pur dignitoso, non possiede la grinta di Serpico o Il principe della città. Risultano poco convincenti sia la trama lacunosa che alcune prestazioni attoriali: Olin (superflua), Dreyfuss (manierato) e soprattutto il protagonista Garcia (santino). Molto meglio Holm, Gandolfini e Leibman, ma il bilancio resta così così.
Lumet torna ancora a raccontare la corruzione nella polizia americana, stavolta suddividendo il film in due: la prima parte processuale, la più veloce e riuscita e la seconda più riflessiva, dedicata al rapporto tra il protagonista e il padre poliziotto. Ed è qui che cala leggermente la tensione, pur restando su buoni livelli grazie a una confezione professionale e robusta. Garcia convince, ma la palma dei migliori spetta a Dreyfuss e a un appassionato Holm. Buono.
Lumet dirige con la consueta professionalità un film di denuncia su un argomento a lui molto caro come la corruzione nella polizia, che offre anche il pretesto per riflessioni più ampie sulla giustizia. La trama è piuttosto buona, ma funziona soprattutto nella prima parte, veloce e serrata; nella seconda si approfondiscono le psicologie dei personaggi e la tensione si allenta. Garcia appare troppo in balia degli eventi, ottimi Holm, Dreyfuss, Gandolfini e Leibman, poco convincente (e tutto sommato superfluo) il personaggio della Olin.
Anche rivisto, resta un film valido. Buona la prima parte, ricca d'azione, meno incisiva la seconda, dal ritmo blando. Bel cast (che coppia Holm e Gandolfini; molto in forma la Olin) e ottima la denuncia di Lumet ai poliziotti corrotti (come in Serpico) ma il film, un po' troppo lungo e per certi versi aprioristico, eccessivamente personale (come quando presuppone, in modo discutibile, l'infallibilità della legge) perde vitalità col passare dei minuti. Del regista preferisco altro, ma anche "Night falls on Manhattan" vale un'occhiata.
Buon Lumet movie, che affronta un tema a lui caro (vedi Serpico) come quello della corruzione all'interno della polizia. Certo siamo lontani dai risultati ottenuti con la pellicola interpretata da Pacino, ma si tratta comunque di un film robusto, ben girato e ben interpretato (meglio di Garcia, pur bravo, risultano Holm, Gandolfini e un superbo Liebman). La trama è interessante e ben sviluppata, e solamente alcuni sprazzi di retorica nel finale inficiano un po' il risultato finale. Rimane comunque un prodotto più che buono, che fa rimpiangere la scarsità di registi di questo calibro.
Pubblico ministero vince la prima causa e nel prosieguo diviene procuratore capo. Soggetto notevolmente fantasioso per colpire il marcio all'interno della polizia. Lumet gira con perizia ma della trama funziona poco o nulla. Il dibattimento è sopra le righe, la nomina repentina è difficile a credersi, la parentesi amorosa incollata e il discorso finale didascalico. Garcia non centra il ruolo, il migliore è indubbiamente Leibman.
MEMORABILE: Gandolfini che teme il microfono; La legittima difesa dello spacciatore.
Non bisogna cadere nell’errore di ridurla a una semplice pellicola che affronta il tema della corruzione nelle istituzioni, né limitarsi ad accusarla di mancanza di originalità. Andrebbe, invece, rivista un paio di volte per rendersi conto della qualità della sceneggiatura, sostanziosa e curata nei singoli dettagli, capace di far comprendere che non esiste una giustizia assoluta a cui ognuno affida le proprie sicurezze e speranze. La resa degli attori è eterogenea e non sempre convincente, ma vale la pena concedergli un’occasione perché gli spunti su cui riflettere non mancano.
MEMORABILE: Il discorso finale.
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