Playground - Film (2016)

L'ultimo giorno di scuola è il pretesto per redigere l'agghiacciante resoconto della quotidianità di tre bambini polacchi, fra le insicurezze della prima adolescenza e lo squallore della realtà familiare. Nessuna logica conduce al capitolo finale che dà il nome al film stesso: il male sboccia banalmente, per noia o per caso, dopo una lunga fase preparatoria che ne ha sparso in giro i semi. Il realismo e la freddezza della regia sono talvolta spezzati da parentesi surreali (la folla che accerchia i due ragazzini), come i lunghi silenzi interrotti dai brani di musica classica. Brutale.

Quando non sai deciderti tra un Haneke alla spina e un Van Sant in lattina e alla fine scegli di essere un cocktail di entrambi. Inequivocabilmente ispirata all'orrendo omicidio del piccolo James Bulger, quest'opera è cattiveria gratuita allo stato brado: la stetoscopìa di una preadolescenza che implode ex abrupto nella crudeltà inaudita; il radiogramma di una normalità che inesplicabilmente traligna nell'abiettezza più mostruosa. Nitida e perforante come una punta di diamante intonsa, ma anche anelastica e outré come ogni esordio indie smanioso di picconare l'emotività del pubblico.

"Plac Zabaw", "Playground", duemilasedici per la regia di Bartosz Kowalski. L'ennesimo film sull'orrore del silenzioso occidentale d'ogni età, "perché?", "come?", "e il contesto?" di facilissimi sciommiottamenti "sociologici" in velleità d'essere Haneke o Seidl (gli piacerebbe) con pretese dogmatiche ed elephantiane (gli piacerebbe moltissimo) ma che finisce fotocopia di altri modesti coevi della periferia esistenziale d'Europa ("Agonie", "Luton", eccetera) Irritante per pretese, inconsistente, insignificante.