Qualità e difetti si mescolano in modo inestricabile e, forse, si compensano in questa pellicola ungherese. Restano nella memoria l'estenuante scena iniziale del parto e la maestosa prova attoriale della Kirby, nonché quella di una Burstyn che si vorrebbe strozzare. C'è anche l'indubbia capacità registica di rendere appieno il calvario umano e psicologico di una donna "in pezzi". Ma va anche detto che la storia e tutto ciò che le ruota attorno sono state viste moltissime volte. E che, ma qui la cosa è personale, non so quanto coinvolga nonostante l'alto tasso di drammaticità.
MEMORABILE: La lunghissima, estenuante ed estremamente realistica scena iniziale del parto.
La prima oretta fa sì che questo film resti nella memoria come buono, in particolar modo per l'ottima tecnica registica di Mundruczó, la splendida fotografia e la sorprendente prova attoriale di LaBeouf. I problemi si riscontrano nella seconda parte, molto indecisa tra l'essere un procedurale piuttosto o una rielaborazione del lutto da parte di una protagonista con molto poco carisma interpretata non benissimo dalla Kirby, un po' montata e fin troppo finta. Resta nella mente il bellissimo piano sequenza iniziale, condito da un pathos eccellente che rende il tutto molto interessante.
Disgregazione di una coppia in seguito ad un drammatico parto che si conclude con la morte della neonata. Film che privilegia il doloroso punto di vista di una giovane madre interpretata con grande intensità da Vanessa Kirby. Non meno rilevante la prova di Shia LaBeouf nella parte di un marito incapace di comprendere fino in fondo l'emotività della compagna e quella (breve ma incisiva) della grande Ellen Burstyn. Le prove degli attori compensano qualche incertezza della sceneggiatura che passa dal dramma intimista a quello processuale forse in modo troppo schematico.
Dramma potente e crudo, che diventa un piccolissimo legal movie solo nel finale; atmosfere asciutte, secche, raccontate da piani sequenza ansiogeni; film molto curato nel tentativo, riuscito, di diventare quello che voleva essere nel suo intento iniziale: una catarsi redentiva; grande l'interpretazione della Kirby, sminuita da una indecifrabile giuria hollywoodiana che va a consegnare l'Oscar ad una McDormand più facilitata nell'esecuzione del suo ruolo. Prodotto da incorniciare; forse maggiormente godibile, nelle sue devastazioni, alla prima visione.
È sempre il pezzo mancante a determinare la totalità-fragilità di un mosaico. Nel caso-caos della squilibrata coppia tenuta scivolosamente su da Martha e Sean, lo spazio vuoto urla ambivalente e ambiviolento attrazione fetale e posizione fatale. Quasi in mimetico lutto, la regia funge da pari pezzo mancante e non infonde vita a uno script che vorrebbe esploderci in faccia. Tolta un po' di buona maniera (l'iniziale parto in piano sequenza) e una Kirby giustamente insignita per l'intensità sprigionata (ma che dire della Burstyn?), il film resta molto sulle sue e noi molto sulle nostre.
Una neonata muore subito dopo la nascita a seguito di un parto programmato in casa. Seguono il disfacimento della coppia e strascichi giudiziari per l'incolpevole ostetrica... Generalmente apprezzato per il virtuosismo registico della lunga sequenza iniziale e per le prestazioni attoriali, il primo film americano dell'ungherese Mundruczó risulta più abile che sincero: si passa dal realismo (presunto) al melodramma senza soluzione di continuità e i sentimenti sono esibiti in modo plateale ma la troppo palese volontà di toccare le corde emotive rischia di lasciare freddi e perplessi.
Opera dalla gestazione visiva ed emotiva decisamente travagliata. L'incipit e il lungo piano sequenza del parto sono scostanti e a tratti fastidiosi sia perché introducono un tema (quello della perdita) pure cinematograficamente abusato, sia a motivo di certo narcisismo esibizionista che dai virtuosismi di Mundruzco passa ai protagonisti quasi contagiosamente. C'è tuttavia nell'elaborazione del lutto una qualità di sincerità e sensibilità (decisivo l'apporto allo scritto della Weber) che "eleva" il narrato e la protagonista (una Kirby magnetica ed attonita) a monadi universali.
MEMORABILE: L'anaffettività della anziana madre ebrea (Burstyn); Il perdono della Kirby al processo.
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