Megan is missing - Film (2011)

Diviso in tre tronconi narrativi, assesta pugni nello stomaco dolorosissimi ed efferati. La prima parte alla Kids tra festini e ragazzine allo sbando senza alcun controllo lascia poi spazio alla docufiction tra indagine e ricerche da reportage. Arriva infine la terza parte che travolge e sconvolge, andando nei territori insostenibili del torture porn più estremo e feroce che non fa sconti. I pericoli del web tra predatori carnefici e agnelli sacrificali. Il teen movie si sporca di carne martoriata e vilipesa senza alcuna pietà. Spietato come pochi.

Un piccolo mondo, quasi un microcosmo, fatto di insolvenze e traumi adolescenziali. Found footage con un incipit che odora di già visto ma che poi osa diventare qualcosa di più. La regia di Goi si sforza poco, preferisce che sia il racconto stesso a trascinare lo spettatore, ma l'angoscia e il senso di impotenza che emergono nell'ultimissima inquadratura non lasciano spazio ai dubbi; siamo in un'epoca crudele, piena di insidie e di aberrante alienazione.

A metà strada fra il mockumentary e l'horror found-footage, una delle opere più disturbanti della categoria. Oltre a trattare tematiche di per sé scomode, si prende i tempi giusti per dare spessore e credibilità alle due protagoniste e al loro rapporto, fra dialoghi intimi e significative dinamiche familiari, calando lo spettatore in un clima di realismo da cui è difficile evadere. Qualche passaggio resta superficiale (l'ipocrisia dei media, i preamboli del rapimento di Amy), ma il plot è agghiacciante e certe immagini persino sconvolgenti. Da vedere insieme a The Poughkeepsie tapes.

C'erano le basi per un torture-porn pedagogico sui rischi della società multimediale (come proverà a fare Lucifer Valentine), ma il risultato è un annacquatissimo found footage che si apre con una descrizione della gioventù bruciata americana permeata di simbologie puerili e fastidioso moralismo, che puzza di falso pur dicendo sostanzialmente il vero. Poi si svolta verso i reportage televisivi venati di giallo e chat minacciose alla Viol@ (l'unica parte decente del film) per poi sfociare in un finale - nelle intenzioni - shock tra i più tediosi, poveristici ed esangui del filone.

È vero, la realtà fa schifo, e a farne ogni spesa là fuori sono i teenagers, tanto sprovveduti quanto bramosi di bruciare ogni tappa. Ed è vero, non c'è horror che tenga davanti all'aggressività del mondo e alla sua liminalmente mediata rappresentazione. Ma il found footage, col suo impianto poveristico-scorciatoiale ha scassato tutto lo scassibile, e nell'applicarlo al fenomeno di costume dei g-g-giovani webbizzati Goi arriva ritardatario. La generazione Tiktok si sconvolge dello specchio che la riflette e non di se stessa; la restante platea, ipersociologizzata, boccheggia tediata.

Per quanto la filosofia programmatica del found footage - oggi incanutita - abbia partorito una pletora di prodotti formalmente simili a questo, il curioso caso del film di Goi (girato nel 2006, distribuito parzialmente nel 2011, assurto a nuova e più macabra fama nel 2020) spicca per la strategica disposizione del materiale narrativo (le foto BDSM di Megan come grandguignolesca parentetica sono piuttosto scioccanti) e per la totale assenza di empatia verso qualsiasi personaggio di contorno (esemplare il doppiogiochismo di amiche e conoscenti della protagonista). Degradante, tetro.