Imperfetto, ma curioso. La comicità surreale (qui apolitica) di Dario Fo funziona a corrente alternata, ma è innegabile che il film abbia una freschezza interessante. Peccato per l’episodio dei cani, divertente nella sua realizzazione, ma concluso banalmente. Fo è un aspirante giornalista svitato, snodato, candido, che prende per oro colato tutto quello che gli altri dicono. La Rame fa la vamp di provincia, la Moll la finta ingenua, Umberto D’Orsi il giornalista. Si sorride.
Dario Fo evidentemente non era destinato al cinema, anche se questo suo esordio non dispiace. Il suo personaggio richiama un po' quelli del cinema muto, soprattutto nelle (numerose) scene in cui corre su e giù per la città, scene velocizzate in moviola, peraltro. La storia non è eccezionale ma si sorride sino al termine, ed il personaggio di Umberto D'Orsi, giornalista celato sotto vari travestimenti per i suoi scoop, è gustoso.
Qui fortunatamente scevra di connotazioni politiche, la comicità di Dario Fo può scatenarsi in una spensierata commedia di provincia, a tratti chapliniana sia per le mimiche e certi sguardi mesti del primattore, sia per i ritmi accelerati impressi da Lizzani soprattutto all'inizio e alla fine. I partners sono scelti con accortezza e adempiono al dovere di rappresentare veraci tipizzazioni.
MEMORABILE: L'arrivo nella palestra; Fo e il vigile; la partita a calciobalilla; l'inseguimento dei cani.
L'unico vero film da protagonista di Dario Fo rivela due cose: non era tagliato per il cinema inteso come commedia all'italiana; l'estro si denota ma resta teatrale. Interessante anche se slabbrata indagine di Lizzani sulla spregiudicatezza del quarto potere e sulle news progettate a tavolino. Le gag semi-slapstick in cui Fo è una specie di Goofy appaiono oggi decisamente impolverate e le storielle sentimentali accennate o accelerate. Franca Rame, fatalona bionda (erano già sposati), sa prendersi la scena quando vuole.
MEMORABILE: La lezione di giornalismo del direttore che cita lo "scandalista" Omero.
Stranissima operazione, con Carlo Lizzani che dirige Dario Fo nel suo unico film da protagonista e l'attore che si plasma direttamente su Jacques Tati, che allora era sulla cresta dell'onda. Se si aggiunge che il film è prodotto da Leo Wachter, che organizzerà dieci anni dopo il concerto dei Beatles in Italia, si capisce come si tratti di un'operazione eccentrica, comunque divertente anche se imperfetta. Peccato, perché Fo avrebbe potuto dare molto al cinema.
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DiscussioneGugly • 29/05/13 11:13 Archivista in seconda - 4712 interventi
Un pensiero a Franca Rame, scomparsa oggi: attrice, ma soprattutto battagliera testimone degli ultimi 50 anni.