La vena d'oro - Film (1955)

Il rapporto - con sfumature morbose - tra una ricca e affascinante vedova (la svedese Märta Torén) e suo figlio sedicenne (un giovanissimo Terence Hill) narrato attraverso garbo e un po' di malcelata malizia da un ispirato Bolognini. L'entrata in scena di un archeologo (ma qui nessuno lavora, a dire il vero) getterà scompiglio e qualche gelosia di troppo... L'aver spostato la scena dagli anni Cinquanta a fine Ottocento pare più un scelta estetica che di necessità, ma resta un'immagine pittorica che in questo caso il b/n sa valorizzare.

Bolognini affronta il rapporto morboso madre-figlio al primo sguardo senza affondi analitici. Ci tornerà in Agostino esplicitando meglio il complesso di Edipo. Il film è un semidramma parecchio impagliato in cui brilla per scioltezza solo Titina De Filippo (parla in dizione ma si fa scappare un bel "te sì 'mpruscinato nella terra figlio mio!"). Girotti, già al sesto film, non muove ciglio, studia da futuro Trinità, mentre la Torèn è una porcellana sul punto di incrinarsi. Mirabile la visita alla tomba etrusca, persino con regalino proibito (un vaso) dell'archeologo a Maria.