Erotismo più che altro cerebrale (le fantasie erotiche di Emilia, nel sottile gioco sporcaccione del "qui pro quo" con il bel tenebroso Huub AMSTERDAMNED Stapel) dove Verbong adotta uno stile autoriale, freddo, quasi "hanekiano", in questa specie di pre
Intimacy o di un
Ultimo tango filtrato orange.
Lontano dal cinema viscerale di un Verhoeven o dalle provocazioni di Josh Stelling, Verbong si rifà a certo cinema dell'erotismo sussurato in chiave femminile, con un occhio alla pittura fiamminga (notevole la fotografia di Lex Wertwijn) e a chiaroscuri di certo cinema di Liliana Cavani (la grande magione materna e le sue stanze, dove si consumano la maggior parte dei rapporti e delle peccaminose fantasie).
Crisi coniugali, corna, il richiamo febbrile della carne verso il seducente sconosciuto che conduce Emilia nel baratro della lussuria, facendole perdere la trebisonda (dimentica il compleanno della figlia, la schiaffeggia in un impeto di rabbia, non si concentra più sulle sue passioni come suonare il violino) con un marito che sà tutto ma sembra accettare rassegnato.
Troppo di testa per lasciare il segno, ma intervallato da interessanti squarci narrativi (Emilia vestita da puttana che girovaga per il quartierie a luci rosse di Amsterdam-una cosa simile avverà, più carnalmente e hardimentosa-in
A snake of june-, il sesso in macchina in un parcheggio sotterraneo, la sveltina nel bagno del lussuoso ristorante, Emilia che propone al marito il gioco della meretrice, il finale che si ammanta di flebili venature thriller con l'amante che non si rassegna a perderla, finale anche un pò inconcludente che faceva presagire la tragedia e si risolve in una bolla di sapone, Emilia che si pastrugna sul divano con il ticchettio del pendolino) ma riservato quasi di più ad un pubblico femminile che nemmeno a quello maschile, in cerca di facili pruderie, più dalle parti dei romanzi erotici femministi (tipo
La voglia di Elfriede Jelinek-con le dovute sostanziali differenze-).
Storia di una moglie e madre modello della benestante borghesia olandese che si lascia andare ai sussulti sconci di fantasie più o meno bollenti, dettate da uno sconosciuto che improvvisamente (e senza avvisaglie) risveglia in lei questa passione ardente sopita da tempo nel tran tran della vita quotidiana. Storia vista mille volte sullo schermo e letta mille volte nei romanzi dell'eros.
Molto brava e appassionata la semisconosciuta Josè Way (un mix tra Isabelle Huppert e Monique van de Ven)
Eppure qualcosa si muove, sarà la regia raffinata (e anche un pò snob) di Verbong oppure l'intensa OST pierrebacheletiana del nostro Nicola Piovani, ma non tutto scivola nella noia.
A suo modo ha un certo fascino.