Alcuni personaggi attendono il treno nella sala d'aspetto della stazione: forse tra di loro c'è il serial killer che terrorizza la città. C'è chi indaga e prova a giocare al gatto col topo e non tutti sono ciò che sembrano. Thriller di chiara matrice teatrale, ambientato quasi interamente in un paio di interni, che sconta un'eccessiva staticità e la mancanza di una tensione degna di questo nome. Si ravviva un po' solo nella parte finale e ha un epilogo non così banale e scontato, più nero della media del genere. Ma il vero motivo per vederlo sono le prove di Brasseur e di Simon.
Il problema del giovanissimo Govar è sempre quello di non sapersi slegare da un linguaggio vecchio in piena rivoluzione cinematografica; e così l’insinuante storia del gruppo di persone nella sala d’attesa di una stazione, con un serial killer che impazza, procede con stanchezza, senza intuizioni innovative, ma anche (che è peggio) senza ritmo né curiosità. Peccato, perché le rivelazioni sul finale sono sfiziose (anche se poco coerenti), ma l’impressione è quella dell’occasione mancata per un regista trentenne, non a caso al suo ultimo film.
Il pericolo più o meno imminente di un killer che si aggira nelle vicinanze di una stazioncina ferroviaria e la conseguente sensazione di minaccia implodono, in questo modesto thriller decisamente old style, negli angusti spazi di una sala d'attesa dove si intrecciano relazioni, dubbi e sospetti che però non approdano a nulla. La mancanza di idee e la pesantezza della narrazione gravano fino a un epilogo appena più interessante ma che non riscatta l'esilità di una trama affidata quasi esclusivamente a dialoghi piuttosto ondivaghi. Una buona prova di Brasseur, il resto anonimo.
Intreccio tipicamente teatrale (location ridotte all’osso: la sala d’aspetto d’una stazione) che non riesce mai a sollevarsi da una persistente staticità e quasi mai a sfruttare la desolazione notturna degli ambienti per instillare tensione nello spettatore. Il ristagnare dell’azione viene rotto solo da un buon cast fra cui spicca l’insinuante e pervasivo personaggio di Brasseur. E il finale, inaspettato, convince poco per un certo sentore di gratuità.
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