Note: Il titolo del film, oltre all'imperativo del verbo "to die" (morire), fa riferimento anche al fulcro del film, ossia il dado ("die" nell'inglese americano, variante del più comune "dice").
Sei suicidandi vengono sottratti al nero destino e rinchiusi in una struttura sotterranea. Un neo-Conte di Montecristo fornirà loro una seconda chance... ai dadi. Italia e Canada co-producono questo ennesimo, modesto e prevedibilissimo clone di Saw, prosciugato di sangue, macelleria, pathos e colpi di scena; un thriller pre-confezionato in cui gli stessi personaggi sembrano aver già bene a mente l'iter cui andranno incontro. Tra reazioni inattendibili, dialoghi inverosmili ed un bolso moralizzatore supremo si distingue solo la volenterosa Caterina Murino.
MEMORABILE: Il patinatissimo scorcio italico del Colosseo...
Un film profondamente stupido e deprimente, in cui abbiamo un "enigmista" dei poveri, un "salvatore" odioso, il cui fastidioso moralismo d'accatto, evidentemente "ammaestrato" dalla saga di Jigsaw, costituisce la scusa per ammorbarci con una serie di insulsi predicozzi, mentre gioca a dadi con la vita dei "peccatori" che hanno "osato" tentare il suicidio. Il cielo ci scampi sempre da chi ci vuole salvare! Per il resto, fiera di situazioni straviste e stracotte. Sul mio dado esce un pallino, ed è già troppo.
Sawven ha inculcato a una colonia di mezze calzette che il vero serial killer è un sopraffino maieuta di socratica levatura morale, intellettiva e, malgrado tutto, spirituale (si aggiunga che il netturbino del caso si chiama pure Jacob, tanto per sgomitare biblicamente). In questa corsa all'epigonalità in cui tutti i neo-inquisitori metropolitani sono uguali ma qualcuno è più uguale degli altri, tutto si gioca nell'estetica del contrappasso, in cui l'ideuzza della tortura cool sopravanza parco-attori, movimenti di macchina, importanza dello script. Il cinema? Sarà per il prossimo lancio di dadi.
Si gioca sin dal titolo con la doppia valenza dado-morte, a presentare una pletora di malcapitati dal pregresso tribolato e dal futuro ancor più buio. Un novello Radamanto muove i suoi dadi permettendo una chance di vita decisa unicamente dal fato. L'idea non è malvagia, le atmosfere opprimono puteolente e ctonie e i patimenti fisici originano dalle analessi esplicative. La pars italica è garantita dalla sempre intrigante Caterina Murino in vena di investigazione e da un Fulco riccastro vizioso. Nel genere non eccelle né sfigura.
MEMORABILE: Il prelievo coatto di sangue; L'epilogo capitolino.
Si prende lo schema che ha fatto il successo di Saw e si cerca di applicarlo a una storia basata su prediche, pregiudizi e retorica, con una sorta di pseudo setta che giudica chi, per un motivo o per l'altro, ha deciso di farla finita. Il risultato è scialbo, mediocre e a tratti infantile se vogliamo e neanche i continui flashback per analizzare i motivi che hanno portato i malcapitati a essere vittime del giudizio riescono a risollevare le sorti della pellicola. Sbrigativo, scolastico e in alcuni punti con un pessimo doppiaggio italiano.
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nelle note andrebbe aggiunto che il titolo del film, oltre all'imperativo del verbo "to die" (morire), fa riferimento anche al fulcro del film, ossia il dado ("die" nell'inglese americano, variante del più comune "dice").
DiscussioneZender • 10/02/11 16:22 Capo scrivano - 48961 interventi