Meraviglia da estasi intrisa di musica, natura, marciume e degrado in cui Ulloa si balocca arrabalianamente in un
Suspiria come lo vedrebbe Raoul Ruiz o un Manoel de Oliveira, tra squallida miseria (tutto l'inizio, disturbante parto solitario modello
Grace compreso, alle prese con la dose, la spacciatrice col cane, le crisi di nevrastenia, nell'appartamento sporco tra bottiglie di alcool e fotografie del passato), vomito, ragazzine zoppe che urinano, si vestono con ali di angioletto o si tolgono le scarpette dorate
oltre l'arcobaleno, ragni dal dorso giallo che tessono ragnatele e imbozzolano le proprie prede, topi che pasteggiano (o presi nella trappola), cavalli bianchi, corvi, falchi, cicogne, scarafaggi, farfalle dove la fauna e la flora abbaglia nella sua tersa bellezza, contrapposta al decadimento putrescente dell'antro delle "streghe", fatto di bambole impolverate, vecchiume olezzante, fragole e soffocante necrosi, casa trappola dove si perde una madre disperata (e tossica), coi collant rotti e sudici, per riprendersi la sua bambina dopo che l'ha venduta per soldi (l'affitto, e la droga soprattutto).
Dimora malefica e marcia dove nascondersi per tutto il tempo da tre possibili streghe dall'istituzione matriarcale (la vecchia deposta che passa il suo tempo ad ascoltare musica d'antan e a fare tornare i conti, la bionda bruta con la fionda quasi sempre a piedi nudi, la ragazzina claudicante) con neonati morti immersi nel ghiaccio e rinchiusi in cassepanche, i tentantivi di fuga dalla finestra, culle che hanno tutta l'aria di qualche ritualità stregonesca, il ciuccio bramato dal ragno, l'immergersi nelle acque per una nuova rinascita, il parchetto con le due lesbiche in Rolls Royce bianca, il sangue mestruale che cola tra le gambe, gli altarini cristologici, la casa di marzapane sperduta nel bosco ( a volte sembra la versione in mescalina tutta uterina de
Il delitto del diavolo).
I dialoghi e gli uomini sono totalmente esclusi in questa fiaba nerissima e cangiante, che si sposta dai fratelli Grimm ai barocchi bagliori surrealisti jodorowskiani, a attimi di pura poesia visiva, alla crudeltà, al sogno, al potere della donna (figura ora terrifica-la matriarca suspiriorum-, ora salvatrice-la deriva nella droga e la redenzione-), alle grida di disperazione, al latte materno che fuoriesce dal seno, ad un finale criptico di possibile libertà che si apre a differenti rappresentazioni (gli euro che galleggiano tra i flutti delle acque).
Sorprendente maturità artistica di un autore parco e solitario (il suo
Airbag era una sbracata sottotarantinata modaiola, ma sono passati 23 anni) che unisce lampi di grottesco a intensi tocchi di rara sensibilità, per una fola andata in putrefazione, assolutamente non per tutti i gusti (comprendendo benissimo l'effetto respingente che può avere sugli spettatori incauti).
Straordinario parterre di attrici (dalla deteriorata
Gloria Swanson di Harriet Samson Harris, Wicca che ha il terrore dei topi a Rosie Day,
Alice tossicodipendente nel paese degli orrori) per un'oggetto che sfugge ad ogni tipo di catalogazione e che non scende a compromessi convenzionali.
Onirismo metaforico surreal/femminile e femminista che viene da un'altra dimensione. Lasciandosi trasportare a mente libera.
Insieme a
Martys Lane (guarda caso un'altra pellicola dai riverberi fiabeschi e tutto impostato su umori femminei) tra le migliori visioni cinematografiche di quest'anno.