Il fenomeno dei lacrima-movie italici
5 Maggio 2008

Com’è capitato con altri generi cinematografici, non posso che constatare che solo in un paese complesso e straordinario come il nostro si poteva pensare di imbastire decine di film sulle sfortune e sulla morte e nello stesso qual tempo produrre film dalla comicità greve e demenziale: gli anni settanta dell’Italia sono straordinari anche per questo.
I “lacrima” hanno storie e finali risaputi, spesso scontati; tuttavia avviso ugualmente che, al fine dell’analisi, anticipo alcuni finali dei film elencati. Chi conosce il genere capirà che non avrei potuto fare altrimenti.

Siamo negli anni settanta, il terrorismo ha preso il sopravvento, la gente ha paura, gli scanzonati anni sessanta con “le pinne il fucile e gli occhiali” e “le colline in fiore” sono ormai un ricordo lontano... il mondo è in gran parte sotto dittature sanguinarie, nei giornali si leggono titoli che parlano di morte, di bombe, di centri di tortura cileni... Insomma l’aria è decisamente cambiata già a partire dal 1968 (infatti - è bene chiarire - quando parlo di anni settanta io considero il decennio dal 1968 al 1977/78, mentre gli ultimissimi anni settanta, fino all’81/’82, sono quelli del “riflusso”).
In questo periodo il cinema italiano si cimenta brillantemente nei generi... di tutti i generi! E tra questi, visto il senso di sconforto che serpeggia tra tutti, i produttori rispolverano romanzi e sceneggiature che possano parlare di buoni sentimenti strizzando l’occhio alla voglia di sensazionalismo. Il cinema italiano contava già un certo numero di film per i quali si poteva parlare di “lacrima-movie” e tra tutti è evidente che Incompreso (1966, regia di Luigi Comencini) è il capostipite del genere.
Il “lacrima-movie” necessita (ce l’ha quasi nel suo dna) di una morte, meglio se a seguito di una malattia. Il non plus ultra è il naturale aggrapparsi alla vita del malcapitato: lo spettatore scaltro sa già che il poveretto non avrà scampo (in fondo la storia è sempre quella...), ma la “casalinga di Voghera” no, lei piangerà al pensiero che il “pargolo” (l’ipotetico figlio) potrebbe anche farcela. Accanto, il marito sbuffa pensando ai risultati di calcio e forse alla giovane amante...

Il “lacrima” spesso si divide in sottogeneri. Nella stragrande maggioranza dei casi vi si narra la malattia e la morte di un bambino, spesso aggravata dal dramma dei genitori assenti; in altri casi è invece la moglie che muore, con un marito o una famiglia che non si accorge del male; in altri ancora è l’innamoramento ad essere ucciso, per motivi spesso forzati (o meglio raffazzonati!).
Ecco una breve lista esemplificativa:
• Incompreso - Vita col figlio (1966): il bambino agonizza a causa di un incidente mentre il padre è stato fino ad allora completamente assente, pensando solo al suo lavoro di successo e dando per scontato che il figlio “ormai è un ometto”... Evidentemente si sbagliava!
• L’ultima neve di primavera (1973): il pargoletto muore sfiancato dal brutto male nelle braccia dell’affascinante padre, il quale è sempre stato assente e capisce che ormai è troppo tardi per riparare... lasciando in lui il tormento per l’errore compiuto.
• Bianchi cavalli d’agosto (1974): un raro caso in cui nel finale il bambino viene risparmiato dalla morte. Lo si fa comunque agonizzare quanto basta per strappare le dovute lacrime... Un passo falso, a mio avviso.


• Ancora una volta... a Venezia (1974): un insieme di tragedie: la morte, la famiglia sfasciata, un amore non più possibile, ma vediamoci ancora una volta... a Venezia!
• L’albero dalle foglie rosa (1975): il bambino scappa da una famiglia ormai distrutta dal divorzio e che non lo accetta; il padre non può lasciarlo, ma un’auto lo travolgerà e porrà fine al delirio. Il pargoletto, ancora in forze, abbraccerà il tronco di un pesco tanto per intonare la sua ultima inutile preghiera... e lo spettatore bramoso lo sa...

• Piange... il telefono (1975): un uomo di mezz’età torna dalla ex moglie per conoscere una figlia che non ha mai visto. Potrebbe essere l'inizio di una nuova vita, di una famiglia tutta per lui, ma la sorte ha in serbo una tragica sorpresa...
• Il maestro di violino (1976): l’indimenticato Modugno torna nei panni dell’affascinante cinquantenne in questo film in cui si racconta la storia d’amore impossibile tra lui e una ragazzina: una sorta di inno alla pedofilia!
• Per amore (1976): in questo caso a “lasciarci le penne” è la moglie di un uomo che, mentre lei agonizza, se la spassa con la bella Janet Agren (come dargli torto...)
• Dedicato a una stella (1976): una ragazza nel fior fiore degli anni è gravemente malata di leucemia e trascorre l’ultimo periodo della propria corta vita con un musicista fallito che saprà capirla...

• Questo si che è amore (1978): in questo caso il bambino è consapevole della sua malattia: “i medici lo hanno detto, è già tanto se arriverò a dieci anni...”, ma malgrado ciò si aggrappa alla vita inutilmente, tentando di salvare il matrimonio in grave crisi dei genitori... Una doppia disgrazia insomma, mi pare giusto!
• Stringimi forte papà (1978): un’intricata vicenda di sentimenti e famiglie sfasciate ambientata in un circo. Ma la morte del padre acquisito del bambino (che ancora rimpiange il defunto papà originario), saprà conquistare cuore del piccolo.
• Eutanasia di amore (1978): in questo caso a morire è l’amore, o meglio viene praticata un’eutanasia all’amore (il titolo in realtà racconta già il film...) tra un cinquantenne ed una giovane che vuole avere un figlio. Seppur manchi la morte fisica, il regista Enrico Maria Salerno è capace di strapparci qualche sana lacrima grazie all’ottimo mix dimusiche suggestive e inquadrature da cartolina (d'altronde otto anni prima aveva fatto un’operazione simile con Anonimo veneziano, 1970).
• Profumi e balocchi (1980): questa volta è una bambina a morire, scappando da un collegio dove è stata rinchiusa e colpita da una broncopolmonite; i genitori (ma soprattutto la madre) posano l’ipotetico flacone di profumo sul suo tavolino dei trucchi per dedicarsi alla figlia, ma giustamente è troppo tardi...

Con il periodo del riflusso l’Italia ha voglia di togliersi di dosso i problemi, il terrorismo, il grigiore di anni tremendi sotto molti aspetti; Il pubblico non ne può più della paura di uscire e di lagnarsi di problemi virtuali per non pensare ai propri. Nello stesso qual tempo, nei cinema si proietta con gran successo La febbre del sabato sera (1977, ma uscito in Italia nel 1978), nelle radio impazza la disco, le tv private sempre più colorate e giovani impongono modelli di vita alternativa a quanto offerto sino ad allora: tutti possono essere belli, tutti possono gioire della vita e dei beni materiali.
In un simile contesto il “lacrima” non ha più ragion d’essere (e d'altronde agli inizi degli anni ottanta si era raggiunta una saturazione...): che aggiungere di nuovo al genere? Sì certo, qualcosa è stato fatto ancora (un titolo per tutti Le prime foglie d’autunno, 1988), ma siamo decisamente fuori tempo massimo e gli esiti al botteghino lo confermano.

Con il processo di “mani pulite” nel 1992 l’Italia ripiomba in una crisi esistenziale dalla quale non si è ancora risollevata del tutto.
E’ in questo periodo che il cinema italiano si piega allo strapotere di quello americano, sempre più bello, sempre più tecnologico. I nostri autori e registi si orientano verso la più proficua televisione e impazzano i vecchi sceneggiati d’amore e storiografici con un nuovo nome: le “fiction” (finzione), e astuti autori cavalcano il nuovo malumore degli italiani ricordandosi che già vent’anni prima capitò la medesima crisi.

ARTICOLO INSERITO DAL BENEMERITO MARKUS
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A) e l'Albero degli zoccoli? e tutta una serie di film di "neorealismo minore" dove in sostanza va tutto male a tutti?
B) ma il polpettone lacrimevole non è forse una eredità del feuilletton francese di fine ottocento, con storie drammose che appunto vertono sul povero figlio asmatico che il padre, ex-zappatore ora disoccupato, non ha abbastanza soldi per pagare le medicine che il medico nella sua bontà gli aveva persino prescritto? E in un certo senso anche Dickens, con Oliver Twist e anche Canto di Natale (il piccolo Timmy avrà pur mangiato tacchino, ma rimane storpio comunque)...
C) ma il più strappalacrime non era forse il manga di Dolce Remi, che gli morivano i cagnolini uno dopo l'altro? E allora Heidi con la nonna senza denti e l'amica paraplegica? E soprattutto Candy Candy che ogni puntata moriva qualcuno? Mi si risponderà che non sono film italiani. Ok, però hanno imperversato sulle tv di Stato per decenni, e almeno due su tre sono tratti da romanzi europei.