The interview - Film (1998)

The interview

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Commenti L'IMPRESSIONE DI MMJImpressione Davinotti

L'avvio è da perfetto processo kafkiano, con la polizia che irrompe nella casa di un disoccupato (Weaving) intimandogli di accompagnarli in centrale. Ancora assonnato, Eddie Rodney Fleming non può che sottostare alla violenza cercando di contenere le reazioni di protesta e irritazione. Ci mette un po' per capire di cosa lo accusino, perché la regia e la sceneggiatura (entrambe di Craig Monahan, nel secondo caso con la collaborazione di Gordon Davie) agiscono in modo da confondere - talvolta anche scorrettamente - le acque. E' un po' il leitmotiv del film: si dice e non si dice, durante quello che di fatto è un lungo interrogatorio interrotto da momenti in cui ritualmente il detective dice di doversi...Leggi tutto assentare per aver modo di approfondire le sue indagini. Inizialmente sembra che Eddie sia accusato di furto d'auto attraverso perizie calligrafiche che parrebbero inchiodarlo e firme apposte sui documenti relativi al passaggio di proprietà del mezzo, ma certo sarebbe impensabile che la polizia trascinasse con tale veemeza un uomo in centrale solo per un sospetto furto d'auto. C'è molto di più dietro, è chiaro, e lentamente lo si capirà. L'idea non è nuova e non è sempre condotta con la brillantezza e il ritmo di cui necessitano i film girati in pochi ambienti, inevitabilmente penalizzati in partenza da una staticità non sempre facile da sconfiggere. Weaving è bravo a rendere il sincero (o no? Qui sta la domanda delle cento pistole) sbigottimento di fronte alle accuse che gli vengono rivolte spesso in modo non circostanziato come ci si aspetterebbe. Le sortite fuori dal claustrofobico ambiente in cui viene condotto l'interrogatorio (il termine “interview” è fuorviante, alle nostre latitudini) sembrano inserite per dare movimento ma in realtà non molto aggiungono a quello che è sostanzialmente un confronto serrato tra i due protagonisti (con un secondo poliziotto, più giovane, chiamato ad affiancare il collega). Quando si arriva alle accuse esplicite la storia accelera, prima di tornare per un altro po' a rimestare tra questioni più fumose. Ed è un continuo accennare a circostanze chiare a cui seguono conseguenze che lo sono molto meno, con tanto di flashback e apparenti confessioni il cui compito è sempre quello di confondere lo spettatore attraverso una tecnica ben precisa. Quando però si capisce quanto il tutto giri attorno al più classico dei dubbi da thriller (colpevole o non colpevole?) si può solo aspettare il finale, che arriva regalandoci la soluzione infiocchettata da un "colpo di scena" visivamente reso in modo insolito ma nella sostanza prevedibile. Ad ogni modo il faccia a faccia ha indubbiamente i suoi ottimi momenti, nonostante il gioco rischi di stancare presto (anche per la palese artificiosità dei meccanismi che lo regolano).

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TITOLO INSERITO IL GIORNO 30/11/09 DAL BENEMERITO SKINNER POI DAVINOTTATO IL GIORNO 2/08/18
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Skinner 30/11/09 09:53 - 592 commenti

I gusti di Skinner

Un thriller australiano validissimo e ambiguo scritto e diretto da Craig Monahan. Il film è un lungo e teatrale faccia a faccia tra ispettore e presunto colpevole, tutto ambientato in una stazione di polizia tra tentativi d'incastrarlo, intercettazioni, trucchi di ogni genere. Una pregevole opera filmica sorretta da una notevole performance di Hugo Weaving nel ruolo chiave dell'indiziato.

Schramm 16/07/13 11:02 - 3495 commenti

I gusti di Schramm

Vero come la finzione, imponderabile come la verità, credibile solo nella tradizione orale, teorico dell'inverificabile, manipolatore: si direbbe proprio l'incarnazione della macchina-cinema, il terzogradato Fleming (un gentilizio un perché, dietro al quale giganteggia un ineffabile Weaving), così come il Martin pescatore che lo sonda e lo puntella pare essere l'allegoria vivente dell'interrogativo sguardo spettatoriale o del costruttivismo critico. Monahan regala un kammerspiel di baluginante acume, dove è l'essenza a ingannare a oltranza, dove i soliti sospetti siamo noi.

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