Troppo astruso e ermetico, zeppo di simbolismi (forse anche troppi) dove il sottoscritto ha colto poco o nulla (opera che si pone a mille chiavi di lettura, complessa, magari da vedere più volte per coglierne il significato)
Una professoressa di lingua giapponese (Regina Myannik, comunque, è da sturbo) vive in una villa lussuosa, seduce il suo allievo (spiazzante l'inizio stile
L'insegnante ciceriana), tra pranzi con amici intellettualoidi, serviti da spaghetti che sembra facciano davvero schifo
Poi gli amici spariscono di botto, la donna si ritrova sola nella grande casa. Vede una dama giapponese che pare uscita dal 1600 che la perseguita (verso la fine ci sono sprazzi addirittura dal j-horror).
Si ritrova in una specie di bunker dove i suoi amici (e pure il marito) si scatenano come se fosse una discoteca underground (con effetto videoclipparo stridente)
Poi silenzio, un letto a baldacchino, la dama giapponese le è sopra, poi-nello stesso letto-gioca all'amore (masticando cicca americana) con il suo virgulto studentello
La ritroviamo ancora chiusa in casa, con la solitudine che l'attanaglia fino quasi a annientarla (emblematiche le piccole scene familiari in cucina, con il marito e la figlia sfocati accanto a lei, e che quando escono di casa dimenticano i giubbini)
La scoperta di un manoscritto giapponese le entra nel corpo come una "lama di pugnale", mentre nel bunker i suoi amici si lasciano andare a pantagrueliche e quasi orgiastiche cene bunueliane, cianciando del nulla, circondati da manzi muratori e da operaie che lesbicano tra loro, poi si degenera, e ci si tira il cibo addosso come Vittorio Gassman e Ugo Tognazzi nell'episodio dei
Nuovi Mostri e che poi la "spiano" dal televisore come in uno degli sketch di
Ridere per Ridere
Forse stò cominciando a capire, la donna e preda di allucinazioni, causa la solitudine che la stà portando alla deriva delle follie femminee polanskiane e altmaniane
Ora ci siamo, una composizione infantile che vira decisamente al macabro, che la donna trova nella cameretta della figlia, dipana l'arcano (ma sì, e così, per forza che deve essere cosi, un lutto non elaborato)
La donna si dispera, si cosparge il corpo coi colori che usa la figlia per dipingere e si mette in posizione fetale nel lettone (identica a Asia Argento nella
Sindrome di Stendhal)
No, non e come pensavo io, credevo di esserci arrivato invece si sprofonda sempre più nell'incomprensibile, e la chiusa finale getta del tutto le mie convinzioni e ne aumenta l'incomunicabilità
Insomma, ma che caspita voleva dire la Markina alla fine?
Va bene il surrelismo, l'essere criptici e visionari, ma qui si esagera
Non sono uno di quelli che cerca lo spiegone a tutti i costi (anzi), ma qui ho sentito l'odore della spocchia e dell'intellettualità fine a se stessa (o ignorante io che ciò capito una beata mazza)
Al di là di tutto la Markina il talento c'è l'ha ed e indiscutibile (meravigliosi alcuni scorci visivi: la dama giapponese nel campo disteso con la neve, la bambina e i fogli del libro che svolazzano nel campo innevato, la donna sola in casa perseguitata dal "fantasma" della dama, il baldacchino nel bunker quasi greenawayano), ma il suo racconto si accartoccia su se stesso, lasciando storditi e molto perplessi, negando ogni tipo di partecipazione emotiva a quello che avviene sullo schermo.
Rebis: Ti rimando al post sopra, mi piacerebbe sapere (se qualcosa ti ricordi) cosa ti ha trasmesso il film (oltre al fatto che assomigli all'intellettuale con occhiali e cappellino alla cena nel bunker)