It might get loud - Documentario (2008)

Variazione sul tema della chitarra elettrica che s'apre a fughe barocche di racconti di vita. Chiacchierata tra artisti (scevra da scene di lotta di classe) più sbilanciata sul lato "spirituale", sul come s'intende (e vive) la musica più che sul come e perché si suona. Evans s'impegna ma appare lievemente spaesato nell'esporre la sua musica "effettata" dinanzi ad un orgogliosamente puritano White (in completo old fashion); mentre Page funge da ago della bilancia, gigioneggiando di tanto in tanto dall'alto della sua figura mitologica.

Tre chitarristi di epoche diverse, ma uniti dalla profonda passione per lo strumento, si incontrano e discutono sulle loro rispettive carriere, sui loro stili e sulle loro ispirazioni. Il documentario è anche l'occasione di estemporanee rivisitazioni di brani ben noti; evidente e giustificata la lieve soggezione di Evans e White nei confronti del signor Page.

Tre generazioni di chitarristi rock e tre personalità da raccontare. Compito non facile perché, per tradizione, il rock ha sempre privilegiato l’aspetto musicale per comunicare con i propri fan e con il mondo, eppure interessante perché Guggenheim li fa (giustamente) “sfogare” con le 6 corde per poi tornare a esplorare il lato meno epidermico e convenzionale che si cela dietro tale sound. Un racconto spesso riuscito, un buon docurock.

Riunione nel nome della chitarra elettrica tra Page, The Edge e Jack White: età e approcci diversi, ma le origini blues accomunano i suoni. Brevi accenni alle storie singole per mostrare il background territoriale e spezzoni dei live più recenti: ottima musica; si denota l’affabilità dell'ex-Zeppelin, l’umiltà dell’irlandese e la spocchia da ragazzino dello Stripes. Confezione fin troppo leccata con un’inutile inquadratura dall’alto a far notare lo sforzo della produzione.

Portano sempre dietro di sé il retrogusto dell'occasione perduta, queste operazioni che attorno ad un'unica (vincente) idea si limitano ad accumulare uno starpower che da solo smuove l'interesse del fruitore. Stili e filosofie molto diversi fra di loro, quelli della trimurti Page-Edge-White, intenti a sviscerare spicciola aneddotica e a strimpellare i loro cavalli di battaglia tra uno stacco e l'altro. Il risultato, seppur conservatore, è gradevole, ma manca di profondità. Come un'inquadratura dall'alto rivela, la sensazione è che si tratti solo di un teatrino a favor di camera.