La risposta americana a 007 arriva con un film che se non ne è la parodia poco ci manca. In realtà il Flint di James Coburn ha un'intelligenza e una conoscenza talmente ampia di ogni cosa che risulta più facile associarlo a Sherlock Holmes che al buon Bond. Purtroppo certe assurde quanto simpatiche intuizioni si consumano tutte nella prima parte quando il nostro, per prestare soccorso al genere umano intero messo sotto scacco da un'organizzazione chiamata “Galassia”, comincia la sua strabiliante azione investigativa. Richiamato in servizio da un responsabile della sicurezza mondiale (Cobb), Flint si prende i suoi tempi e sulle prime si nega; poi però,...Leggi tutto quando chi aveva tentato di ingaggiarlo rischia la vita per colpa di una freccetta avvelenata indirizzata a lui, Flint capisce che è il momento di agire. Gli basta considerare gli elementi presenti nel veleno per capire che insieme e in quelle dosi sono presenti solo in una zuppa marsigliese servita esclusivamente in alcuni ristoranti della città francese. Da lì partiranno le sue indagini, che presto lo porteranno in contatto con la “Spectre” di turno localizzata su di un'isola rocciosa segreta in pieno oceano. Con una trasferta romana (in gran parte ricostruita) il film tenta di darsi un'internazionalizzazione, ma il paragone con il più ricco agente britannico proprio non regge. Anche gli effetti speciali sull'isola (e anzi, si parte male già con la diga che crolla nell'incipit) danno sempre l'impressione di una replica povera e, esaurita la spinta ironica della prima mezz'ora, velocemente il film si limita a ripercorrere senza troppa gloria le orme di Bond tra esplosioni e stratagemmi dozzinali per sfuggire ai cattivoni, qualche scazzottata a far da contorno e l'immancabile parentesi rosa con la bellezza del caso (Golan). Curioso comunque che Flint, a casa, si sollazzi con quattro bellezze contemporaneamente, pronte ad accompagnarlo ovunque e a vezzeggiarlo appena esiste un attimo di tempo per farlo. Che l'uomo sia sopra le righe è evidente fin da subito, che Coburn riesca a donargli lo spirito giusto anche; perché allora spegnerne la vivacità e l'inventiva per farlo rientrare in un contesto che col passare dei minuti lascia svaporare totalmente le bollicine della parodia e dell'eccesso? Soprattutto considerando la spettacolarità molto relativa degli effetti speciali... Marcel M.J. Davinotti jr. Chiudi
Un'organizzazione criminale vuole conquistare il mondo (ma senti!), l'unico che può sgominarla è l'agente Flint... Se Sua Maestà aveva 007, gli USA rispondono con Flint, ma la buttano da subito sulla parodia ultra-fumettistica e kitsch-pop. L'asso nella manica di un film complessivamente stupidotto è il grande James Coburn, quintessenziale tipo "cool", fra arti marziali da ridere e seduzione. Da urlo la loungissima colonna sonora di Jerry Goldsmith. Influenza determinante sullo spy-movie italiano.
Ve lo immaginate un agente segreto perfetto, pieno di donnine, vizi, tic e un capo isterico? Quello è Derek Flint, impersonato dal brizzolato James Coburn. Il suo capo lo richiama in servizio per debellare "Galassia", un'organizzazione criminale che, a detta dello stesso Flint, fa diventare la "Spectre" di James Bond un club di educande. Parodia dei film di spionaggio, con un James Coburn inedito e divertente. Il film ha diverse trovate gustose, con un Lee J. Cobb che sa stare alla burla.
Il dittico di Derek Flint è - insieme alla serie-tv The Man from U.N.C.L.E e relativi film di montaggio - la migliore controparte statunitense del britannico James Bond. A differenza dal troppo "morbido" e un po' mollaccione Matt Helm di Dean Martin, Flint è il vero "super" agente, freddo quanto basta, con licenza d'uccidere, ma non privo di ironia e circondato da belle donne (che però tratta come un seduttore par suo deve fare). Ottimo questo primo episodio, ma non è male neppure il coloratissimo sequel.
Curiosa parodia a tutto tondo di James Bond (c'è perfino un attore, nel ruolo di 0008, sosia di Connery): non porta benissimo i suoi anni ma è ancora godibile. Abbondano i momenti in cui si sorride di gusto e le belle donne (in primis Gila Golan). James Coburn sa prendere (e prendersi) in giro con eleganza; Lee J. Cobb è stranamente somigliante a William Holden con quei baffetti, ma fa bene il suo mestiere.
MEMORABILE: Coburn che usa Lee J. Cobb, improvvisato defibrillatore (in senso letterale) per rianimare una guardia moribonda: un MacGyver ante-litteram?
Questa volta la minaccia al mondo libero viene da un gruppo di scienziati che vorrebbero imporre il bando delle armi nucleari: ohibò, che malvagità! Per fortuna c'è Flint... Amabile semi-parodia di 007, kitch, coloratissima e musicalmente doc grazie alla colonna sonora di Goldsmith. Semi-parodia perché si limita a premere soltanto un poco il pedale dell'esagerazione, e del resto elementi auto-parodistici erano già presenti nell'originale. Gradita la presenza di Coburn, dotato della prestanza fisica e dell'autoironia giuste per il personaggio
Un tipico film di spionaggio degli anni ’60, che si distingue per una serie di caratteristiche tipiche dell’opera stessa e del sottogenere, gli spy movies. Rispetto a James Bond, Flint si può definire un agente segreto di mezza età molto abile e fortunato, una specie di superuomo che sa tutto ed è in grado di fare tutto, dispone di oggetti incredibili e versatili. Trama articolata e ricca di scene d’azione, in cui non mancano belle donne e scienziati criminali.
MEMORABILE: La scazzottata nel ristorante malfamato e il combattimento finale nella base con riprese spettacolari.
La scelta di buttarla sul faceto è chiara sin dai titoli di testa e dare al protagonista il volto aristocratco e strafottente di Coburn è cosa buona e giusta. L'operazione è condotta con professionalità e i denari non mancano, ma rispetto al "cugino" britannico questo film difetta soprattutto nel ritmo piuttosto lento e dato il tipo di film non è un particolare di poco conto. La storia non è di quelle memorabili e alla fine si ricordano di più i formidabili gadget, Coburn fa il suo con professionalità ma il paragone con Connery, con tutto il rispetto, è piuttosto impietoso. Mediocre.
I vari cliché degli 007 sono talmente esaltati da rasentare la parodia degli originali, tuttavia questo ibrido tra Bond e Sherlock Holmes (e un Bruce Lee cinematograficamente ante-litteram) dal nome di Derek Flint è talmente simpatico e brillante da rendere il film piacevolissimo da vedere, un trionfo di pop-art anni '60 tra colori, costumi, arredi e scenografie. Oltre a Coburn, si fanno notare il grandissimo veterano Lee J.Cobb e la brava attrice israeliana Golan. I successivi 007 con Moore avranno più debiti nei confronti di questo film che dei precedenti con Connery.
Daniel Mann HA DIRETTO ANCHE...
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In questo spazio sono elencati gli ultimi 12 post scritti nei diversi forum appartenenti a questo stesso film.
Recensione di Valentino De Carlo pubblicata su "Gamma 7 - Rivista di Fantascienza" (Maggio 1966) a pag. 144.
Valentino De Carlo
«SUPERMAN» IN CAMICIA NERA Gira e gira, la fantascienza si rivela sempre più come un piccante e spettacolare condimento per dare sapore a certi film che di vita propria sarebbero incapaci di tirare avanti per più di un quarto d’ora. Un caso tipico è il recente film di fantaspionaggio Il nostro agente Flint (Our Man Flint), nato da un ignoto e, suppongo, modesto raccontino di Hal Fimberg, un soggetto che, pubblicato su una rivista specializzata, sarebbe passato del tutto inosservato. Senonché Hal Fimberg vive a Hollywood e fa lo sceneggiatore: e così, spinti dall’urgenza di lanciare un contraltare americano alle mirabolanti imprese di James Bond, i produttori della Fox hanno trovato in quel raccontino lo spunto per delle avventure che vorrebbero essere più di quelle strabilianti, divertenti e spettacolari, mentre sono soltanto cervellotiche. La storia riguarda un trio di scienziati pacifisti che, avendo scoperto il sistema di controllare ogni movimento atmosferico, si servono di questo mezzo per ricattare i governi della Terra e costringerli a disfarsi delle armi nucleari.
Messi alle corde, i servizi di controspionaggio, CIA in testa, scatenano sulla pista dei pacifici terroristi il genio degli agenti segreti, Derek Flint, miliardario, uomo dalle mille risorse che in privato ha già risolto il problema della crisi delle domestiche con un harem di quattro belle figliole di varie nazionalità. Le sue prodezze non sono ovviamente limitate al letto a cinque piazze (sei, prima della fine, con l’acquisizione di una non troppo acerrima nemica): esperto in donne, karaté, bouillabaisse, e fisica, si è costruito un aggeggio che ha 82 usi diversi, 83 se lo usa anche come accendino, e che lo condurrà ad avere ragione dei tre scienziati e dell’intera organizzazione chiamata “Galassia”.
Il personaggio c’è, simpatico e costruito con spirito, grazie anche all’apporto determinante di un interprete come James Coburn, senz’altro più sottile e ironico di Sean Connery; ma gli sceneggiatori non sono stati capaci di costruirgli attorno una vicenda convincente, nonostante il dichiarato intento parodistico. Perché la parodia c’è, di James Bond, del suo mondo di inesistenti superspie, dei suoi giocattoli elettronici, ma è tutta limitata alla scorza, all’impostazione della vicenda e alla presentazione dei personaggi: tutto questo dura abbastanza a lungo, quasi metà del film, ed è discretamente divertente (va citato qui anche Lee J. Cobb, impagabile capo di quella buffa ONU del controspionaggio, e il suo telefono rosso). Poi sceneggiatori e regista, un Daniel Mann non più che decoroso, finiscono per prendere sempre più sul serio Derek Flint e la sua ostinata e incomprensibile crociata in difesa… di che cosa?
Alle ragioni esposte dagli scienziati di “Galassia”, Flint risponde soltanto con sprezzanti dinieghi, senza mai prendersi il disturbo di spiegare perché ce l’ha con loro, tanto da ucciderli e distruggere quanto hanno costruito: la parodia iniziale del “superman”, tolto di peso dai fumetti di Stan Lee, come “Iron Man” o il “Sergente Fury”, cede il posto alla solita esaltazione dell’eroe ottusamente nazionalista che si batte testardo, senza porsi alcun interrogativo, per la difesa dei suoi privilegi contro tutto quel che non sia americano o, almeno, facilmente colonizzabile. Non è soltanto un caso che il film sia stato realizzato in un periodo in cui gli Stati Uniti sono impegnati in un conflitto difficilmente giustificabile e che la sola battuta apertamente politica del film sia diretta contro Robert Kennedy.
È un peccato che un personaggio come Flint tanto simpatico e, all’apparenza, intelligente si trasformi poi in un fanatico reazionario. D’aver tirato un po’ la corda si sono accorti a un certo punto anche gli autori del film, e si sono premurati infatti di procurare qualche alibi al loro eroe: a dispetto delle loro intenzioni pacifiste, i capi di “Galassia” sembrano mirare a una dittatura disarmata appoggiata al condizionamento mentale dei sudditi e alle carognate dell’ex criminale nazista di turno. Guarda caso, i tre scienziati sono uno russo, uno giapponese e uno tedesco e nell’organizzazione non c’è neppure un americano. C’è in compenso una “casa delle bambole” in una scenografia da Playboy Club dove le donne sono numerate e chiamate “unità di piacere”.
Tutto sommato trovo che James Bond sia ancora da preferire, nonostante la sua volgarità di arricchito e la sua totale mancanza di intelligenza: vince sempre, ma per puro caso, e l’accusa di fascismo che gli hanno lanciata è alquanto esagerata: meglio si addice, semmai, al suo emulo Flint. Bond al confronto è innocuo, e assai più astuto: evita sempre con la massima cura di scontrarsi con delle idee. I suoi avversari impersonano il male allo stato puro, personaggi da “comics” altrettanto incredibili e privi di sfumature: la lotta contro di loro è una sequenza di azioni violente che non possono lasciare nello spettatore il minimo dubbio, il minimo sospetto. La simpatia dello spettatore per Bond è epidermica, sportiva, tanto è vero che di riflesso ne gode anche il “cattivo” Goldfinger; ma la simpatia per Flint è pericolosa, si rischia di trovarsi d’accordo con lui ad auspicare un ritorno del maccartismo.
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