L’unica regia dello scrittore Malaparte è incentrata su un paesino toscano che sconta i devastanti effetti sociali della guerra civile e fratricida del 1945, ben espressi dal volto addolorato della Morelli, da quello rassegnato della Varzi, dal sacrificio di Cuny, dall’energia marxista di Cervi e dalla furiosa declamazione finale di Vallone. Si susseguono momenti di delicata poesia, futili parentesi sdolcinate e parate di macabro folklore.
Film diretto dallo scrittore toscano Curzio Malaparte, che non brilla certo per direzione registica ma sicuramente è lodevole per la trama, che in certi casi tocca momenti di buona poesia. Gino Cervi si vede poco ma si mette in evidenza come il migliore del cast.
La ricerca del traditore diventa un ossessivo vagabondaggio nei labirinti d'un bellissimo paesello toscano e della mente umana. Omertà, desiderio di pacificazione o perdono in nome di una più alta giustizia che reclama il sangue degli innocenti? Film morale innestato su una tradizione neorealista che viene però piegata a un potente simbolismo concettuale e iconografico (a tratti dreyeriano), e reinventata con raffinatezza visiva (ed eleganti movimenti di macchina, dalla planata iniziale alla veglia sul morto). Visionario, viscerale e razionale.
La pellicola ispira una riflessione sul termine "giustizia". Quando quella amministrata giorno dopo giorno da un manipolo di uomini su altri uomini è "uno schifo" (cit.), l'avvicendarsi del sacrificio di uno o più innocenti appare quale possibile metodo per la costruzione di una comune memoria storica in cui il valore di quella (in)giustizia possa palesarsi nitidamente senza l'imperfetta intermediazione di esseri giudicanti. Ma da Cristo in poi le età dimostrano che o troppo corta è la memoria umana o troppo egoistiche le ambizioni terrene.
Curzio Malaparte, noto più che altro come scrittore, dimostra di saperci fare anche dietro la macchina da presa realizzando un film bello e interessante, con numerosi spunti riflessivi di rilievo impreziosito da un'ottima recitazione (sebbene a volte un po' sopra le righe) e da un'altrettanto valida fotografia. Musica, soggetto e sceneggiatura sono tutte sue. Un film evidentemente sentito e questo si sente nel corso della visione, lo si avverte dall'ottima regia, sempre intima. Una bella sorpresa.
Poveri Cristi reduci da una guerra spietata e inutile si domandano, increduli, sulla sorte che li aspetterà, all'esordio di una nuova epoca storica. Quando il regista discute sul significato dell'uomo e i suoi limiti raggiunge alte vette di riflessione (anche filosofica), poi si perde spesso in divagazioni francamente troppo sdolcinate che sfiorano l'affettazione e si perde il senso reale e drammatico del progetto.
MEMORABILE: Il doppiaggio troppo "professionale" sia di Raf Vallone che di Elena Varzi.
Malaparte scrive anche con la mdp, e sembra che chiunque possa fare cinema. Non è così, si dimostra tra i più bravi degli eclettici. Formalista dichiarato, sia nel montaggio che nei quadri perfetti (e pure nella musica). Chiaramente devi anche farli parlare i tuoi eroi, e qui la salatura bergmaniana contrasta con la campagna. Anche se la metafora trascende l'habitat. Un tentativo che forse avrà dato coraggio, dieci anni dopo, a Pasolini, che però eviterà l'errore degli attori professionisti. Il fluido piano sequenza notte-giorno vale un lancio di confetti.
MEMORABILE: Il campo e controcampo con la madre del compagno morto in Russia.
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Unica opera per il grande schermo diretta da MCurzio Malaparte. Morirà nel 1959, pochi anni dopo.
Questa la lapide immaginata d Indro Montanelli (da Ricordi sott'odio, Rizzoli):
QUI
CURZIO MALAPARTE
HA FINALMENTE
CESSATO
DI PIANGERSI
DI COMPIANGERSI
E DI RIMPIANGERSI.
IMITATELO.