In riformatorio per furto, Colin Smith si riscatterà con le sue doti da fondista… Richardson, da un romanzo di Alan Sillitoe, indaga la complessità dei rapporti che legano il soggetto alle istituzioni (familiari, educative) garanti di una presunta integrazione nella collettività, e trova nella corsa del maratoneta una metafora vincente dell'azione individuale che ha compimento in sé: la resa finale di Colin è un tentativo estremo, paradossale di boicottare la logica del sistema. Lo spirito del "free cinema" conferisce alle immagini - bellissime - irrequietudine e urgenza. Emozionante.
MEMORABILE: Il titolo originale, paradigma di tutto il film. Le corse a perdifiato nei boschi. Il finale.
Altro che gioventù bruciata: nell’Inghilterra delle classi disagiate di provincia la gioventù nasce bruciata in partenza dalle condizioni sociali, dove famiglia, città e (inevitabile) riformatorio, tracciano la mappa di una gabbia che blandisce ma non lascia vie di fuga. Anzi, sì, solo una: lo stallo, paradosso estremo per un corridore come è il protagonista. Film incalzante, ruvido, graffiante, che lascia il segno grazie all’occhio lucido e spregiudicato di Richardson e alla maschera beffarda e inquieta di Courtenay.
Un ragazzo di modeste origini, con una situazione familiare disastrata, finisce in riformatorio dopo un tentativo di furto. Il direttore, appassionato di sport, ne fiuta le grandi doti come fondista e lo fa allenare in vista dell'annuale corsa che contrappone i ragazzi dell'istituto con quelli di un prestigioso college... Più che nel verboso esordio, è con questo film che Richardson diventa l'alfiere del free cinema inglese, grazie alla belle sceneggiatura scritta da Sillitoe, già autore del romanzo breve, e alla prova di Courtenay, il cui sguardo del finale vale più di mille parole.
MEMORABILE: Il finale è davvero uno di quelli per cui il termine "indimenticabile" non è affatto esagerato
Mi sono bastati pochi minuti per rendermi conto di essere di fronte a un grande film. Fosse anche solo per la nervosa interpretazione di Courtenay il film meriterebbe di essere visto, ma non voglio fare un torto a un'opera che riesce a parlare dei giovani (e ai giovani) risultando attuale dopo 50 e passa anni. L'influenza della nouvelle vague è lampante nel voler rompere certi schemi narrativi e stilistici, ma la compattezza del racconto non è mai sacrificata alla forma: solo le musiche risultano eccessivamente fuori contesto. Comunque capolavoro.
La terribile bellezza del finale rischia di far passare in secondo piano il resto, ma ne valeva la pena, perché la conclusione riesce nella impresa di essere liberatoria per chi mette in atto il gesto e punitivamente castrante verso lo spettatore, anche in virtù delle splendide riprese della corsa, prima dell'atto finale, che anche per questo diventa uno dei più indimenticabili mai visti. Ottime interpretazioni, linguaggio secco, costruzione passo per passo convincente. Opera originale per il meccanismo anti-sistema, ovviamente già presente nel libro di Alan Sillitoe.
Detenuto al riformatorio dimostra qualità podistiche. L'ambiente è povero e suburbano, ma l'attenzione non è rivolta alla delinquenza sbandata bensì alla ribellione all'ordine precostituito da ragazzi perdigiorno. A volte addirittura il registro sfiora l'operetta con qualche inquadratura accelerata. Il pregio del film è in fase di montaggio, con l'inserimento fluido dei flashback specie nei momenti di corsa campestre. Il fallito senso di rieducazione del carcere minorile non viene accentuato, anche se la critica politica è presente.
MEMORABILE: Il nascondiglio della cassetta nel vaso; La madre che ritira i soldi dell'assicurazione del marito defunto; Le scarpe da corsa di pelle.
Opera cardine del free cinema, soffre oggi di una paradossale "meccanicità", insita nello stesso "stile libero" esibito da Richardson attraverso un montaggio che alterna passato prossimo e indicativo presente di Colin. Ciò detto, il ritratto d'ambiente proletario e il paternalistico riformatorio coi loro squallori omologhi colpiscono nel segno quanto il sottrarsi del protagonista (meraviglioso Courtenay) a qualsiasi redenzione (verso i superiori) e integrazione (nel gruppo dei pari). Sospeso tra poesia e antiretorica, un malinconico film in cui sull'urlo vince il gesto individuale.
MEMORABILE: Lo spettacolino offerto ai "convittori" che da parte loro cantano "Jerusalem".
Un giovane nato e cresciuto in una famiglia proletaria e in un contesto sociale al limite della legalità, si sente oppresso dal grigiore quotidiano, ma disprezza di più l'ordine e le regole della classe borghese anche quando, rinchiuso in un riformatorio, date le sue capacità atletiche gli verrà data l'opportunità di riscattarsi. Un superbo esempio di free cinema, che sovrappone la tensione psicologica e le irrequietezze del protagonista in un susseguirsi di flashback rapidi e incisivi (la corsa finale) a un quadro ambientale tra disagio e aspirazione che resta comunque irrisolto.
MEMORABILE: Le corse all'alba col sottofondo jazz; Le due coppie in gita; La refurtiva nel tubo di scolo della grondaia; La gara e il ritorno all'ordine.
Tom Courtenay come maratoneta Colin Smith divenne epitome per una generazione di antagonisti (perfino gli Iron Maiden gli dedicarono un brano); dal volto smagrito, occhi brillanti dal fondo del teschio, per quest'opera di Richardson dall'omonimo romanzo di Alan Sillitoe. Trattasi di un racconto di formazione travagliata, working class rage, con un protagonista di raro carisma, come Jim Stark-James Dean o Johnny Strabler-Marlon Brando, ma nell'iperrealismo del Kitchen Sink Drama e del Free Cinema più severo, nei sobborghi piovosi a qualche decina di chilometri da Londra.
MEMORABILE: Gli ultimi leggendari quindici minuti.
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CuriositàDaniela • 1/03/14 16:32 Gran Burattinaio - 5944 interventi
Soggetto tratto dal romanzo breve di Alan Sillitoe"The Loneliness of the Long Distance Runner", pubblicato in Italia nel 1959 col titolo "La solitudine del maratoneta".
Sillitoe è anche autore della sceneggiatura del film. Lo stesso era avvenuto due anni prima con un altro suo romanzo: "Saturday Night and Sunday Morning"(in italiano "Sabato sera, domenica mattina"), da lui sceneggiato e diretto da Karel Reisz.