Miniciclo:
Quegli amori balordi
Capitolo terzo:
la naturalezza dell'incesto
Opera quasi unica nel suo genere, che a tratti assume i pregevoli connotati di un documentario sulla pastorizia d'altura, con echi marcatamente herzoghiani
Immerso nelle reali location alpine svizzere e abbagliato dalla magnifica fotografia di Pio Corradi, è un film sulla solitudine, sull'isolamento, sulla vita quotidiana di una famiglia di montanari, intenti nei lavori giornalieri tipici dei "malgari" (con le bestie, con la terra), che, una volta alla settimana scendono a valle per le provviste, ma che, per il resto, passano la vita lontano da dio e dagli uomini.
E quì che si consuma l'incesto tra fratello e sorella, lui sordomuto e con parecchi problemi comportamentali, lei una ragazza responsabile e dal carattere forte, che, circondati dal nulla e preda a pulsioni di una normale sessualità che sboccia e preme, si lasciano andare (senza morbosità o facili scivolate nell'erotismo spicciolo) ad un rapporto amoroso che ha quasi del "naturale", in barba ai due genitori "oppressivi" (madre bigotta e asmatica, padre risoluto nelle sue decisioni, dove conta solo il lavoro duro e coltivare la terra)
Un atto d'amore "contronatura" che sovverte le leggi del patriarcato, ma che avrà effetti nefasti quando la ragazza rimane incinta del fratello (la madre pare rassegnata all'evento, il padre imbraccerà il fucile, in una chiusa finale che assume i chiaroscuri di una fiaba fosca, tra la fitta neve che scende, i figli/amanti che vanno a sostituire i genitori coricari sul letto di morte e sepolti nel manto nevoso ricoperti da una finestra)
Il silenzio dei monti nebbiosi, il solo muggire delle vacche, lo starnazzare delle galline, il grugnire dei maiali, i campanacci, la natura impervia e incontaminata che fà da sfondo, i muri di sassi costruiti dal ragazzo , in un mondo "altro" che stà tra l'incomunicabilità bucolica dei Taviani e il
Triplo eco di Michael Apted
Il fratello che ruba la radiolina alla sorella (unico contatto che ha la ragazza con il mondo esterno, che trasmette solo "stupide canzonette", come le chiama il padre) per poi gettarla, per dispetto, nella fontana, le crisi di rabbia del ragazzo (la falciatrice lanciata in un dirupo, lo spaventare le mucche, distruggendo la sua stanzetta) è un segno di sessualità repressa, non sfogata, dettata dall'isolamento alpigiano, che verrà "curato" dall'amorevole sorella, in una notte di bivacco, intorno ad un piccolo fuocherello (il falò del titolo) e , più in là, con il richiamo di uno specchio quasi "fatato"
Murer adotta una regia delicata, quasi documentaristica, attento a ogni minimo dettaglio, rifuggendo morbosità e facili stereotipi, quasi fosse un entomologo, pigiando sul realismo della quotidianità, non dissimile da un Ermanno Olmi o da certi poemi campagnoli avatiani (o più recentemente accostabile ad un
The Witch ma senza streghe o elementi soprannaturali)
Il problema stà nella narrazione, che dopo un pò diventa tediosa, sfiancante, e la sua eleganza formale e il suo rigore non sono esenti dalla noia (l'incesto avviene dopo un'ora abbondante, senza clamori ossessivi, il resto è solo routinario giornaliero di una famiglia che sopravvive alla dura vita di montagna), sfociando nel dramma finale, quando il padre viene a sapere dalla moglie il peccato della carne commesso dai figli, accecato dalla rabbia (e non e un caso che gli abitanti di quelle zone remote e inospitali siano soprannominati gli "arrabbiati" dalla gente del paese) decreterà la fine del patriarcato, dove la neve è silente testimone e fratello e sorella, nell'assordante silenzio della solitudine alpina, porteranno avanti un idea di famiglia "disfunzionale" (sempre se riusciranno a sopravvivere alla durezza della natura che circonda gli alpeggi svizzeri)
Ammaliante sul fronte tecnico (la già citata fotografia, la musica penetrante di Mario Beretta, la regia scrupolosa di Murer, l'intensa performance attoriale quasi naturale) quanto deficitario nel narrato, colpevole una monotonia sempre più invasiva che fà decrescere le emozioni (anestetizzando anche il dramma finale)
Opera comunque peculiare e ben poco commerciale
Pardo d'oro al festival di Locarno nel 1985
Sequenza cult amorbalordiana: Il fratello spia la sorella nuda, nella sua stanzetta, abbagliata dalle fioche luci di una lampada a olio, davanti allo specchio (un nudo intergale mozzafiato offerto dalla bella e bravissima Johanna Lier) tentando un nuovo approccio amoroso, lei, per tutta risposta, lo respinge...