Welles si diverte a raccontare storie di falsari (un pittore, uno scrittore) e riflettendo su arte, verità e menzogna. Uno straordinario gioco a incastri, di incredibile complessità illusoria, grazie a un'eccezionale orchestrazione del montaggio, davvero stupefacente, con la quale compone un flusso narrativo a più livelli, ipnotico e inestricabile. Un documentario che sa essere, a modo suo, un thriller e un poema, ma soprattutto un monumento all'apparenza, alla credulità e allo stesso Welles, che gigioneggia sornione...
Da tutti ritenuto giustamente il testamento di Welles, in quanto è qui descritta con chiarezza la sua visione del mondo e traspare più che mai il suo punto di vista (sconsolato) sull'arte. Ciò però non basta a rendere buono il film. La struttura è originale, ma ci vuole pazienza a reggere quasi un'ora e mezzo di pura e ostentata verbosità, pur se intervallata qua e là da qualcosa di interessante (l'autobiografia wellesiana). Confezione da b-movie anni 70, visto il budget quasi inesistente. Curioso sì, bello decisamente di meno.
Summa dell'Orson Welles uomo, prima che autore. C'è un po' di tutto: riflessione sull'arte e sul suo ruolo nella società, labile confine tra (come da titolo nostrano) verità e menzogna, straordinaria potenza del mezzo cinematografico, costantemente sul filo delle dicotomie rappresentazione/realtà, fiction/documentario. Il tutto ripercorrendo le gesta del pittore Elmyr de Hory e dello scrittore Clifford Irving... Arrivisti, artisti, od entrambe le cose? Se non si fatica ad inviduare sprazzi di genio, è pur vero che la verbosità nel finale regna sovrana. ***
Appena entrato in scena, Welles definisce se stesso un «ciarlatano» e, componendo un variopinto collage documentaristico sul cinema come trucco e finzione, ne dimostra l’immenso potere di confondere i limiti che separano la verità dalla menzogna. Logorroico e autoironico, il cineasta intreccia un’inchiesta su due falsari (il pittore Elmyr de Hory e il giornalista Clifford Irving) e rievoca i primordi della sua carriera, iniziata guarda caso proprio all’insegna del falso con l’invasione dei marziani della radiofonica “War of the worlds”. Simpaticamente paradossale.
MEMORABILE: I giochi di prestigio di Welles; la “grande truffa” di Oja Kodar a Ibiza come modella per Picasso.
Eccezionale (quasi) commiato di Welles, all'insegna del paradosso e dell'autoironia: spesso si fa vedere alla moviola, emblematicamente intento a rimescolare le carte, a reinventare le storie (la Storia?). Teoricissimo, ma in modo talmente esibito da far sospettare - di nuovo - la beffa, però con un momento di austero lirismo (Chartres) infilato con nonchalance. L'episodio di Picasso è straordinario, fra le vette del cinema del Gran Ciarlatano (ipse dixit). Trailer sublime, perla nella perla.
Il testamento artistico di Welles che, per certi versi, fa luce sulla sua personalità molto più dei fiumi d'inchiostro che sono stati versati su di essa. Il ritratto che viene fuori da questa storia che alterna allegramente verità (se non altro per un'ora come affermato dal regista) e menzogna è quella di un uomo abbastanza fragile e solo pur nel suo essere spesso sopra le righe e nel suo narcisismo. Qualcuno ne lamenterà, anche un po' a giusta ragione, l'eccessiva verbosità che però non scalfisce il ritmo, alcune belle trovate ed il genio che è sempre possibile trovare nelle sue opere.
MEMORABILE: "Per un'ora vi dirò solo la verità" afferma il regista all'inizio della pellicola: ma sarà vero? La storia sui quadri di Picasso.
Saggio sull'arte quale mistificazione ontologica, è, al contempo, un testamento e un manifesto della poetica illusionistica dell'autore, uno scherzo e un gioco prospettico irrisolvibile, in cui costruzione e decostruzione del reale eludono qualsiasi tentativo di classificazione per generi. Per la manipolazione di materiali eterogenei, potrebbe rappresentare un mockumentary prototipico: in realtà, rimane oggetto sfuggente e irriducibile, anche difficile da fruire per i molteplici livelli narrativi, la densità dei dialoghi, la ridondanza stilistica non sempre a scanso di retorica.
La carriera di Orson Welles termina con questo particolare, strano documentario sul falso nell'arte, che va a finire poi in un discorso più ampio, su falsità e verità. Il film è interessante a livello tecnico, con un montaggio a tratti geniale e diverse trovate registiche degne del grande maestro. La storia però non è sempre interessante e a volte si perde in una certa confusione, forse ricercata di proposito. Nel film è presente Oja Kodar, l'ultima compagna di Welles. Da vedere per curiosità.
Pochi uomini di cinema riesco ad accomiatarsi dalla settima arte con tanta profondità, tanta intelligenza e tanta ironia. Welles ci consegna una meditazione su arte, cinema, verità e menzogna che ha la profondità di uno studio filosofico ma anche la leggerezza di uno scherzo tra amici. Ed è difficile anche pensare ad un'altra persona di spettacolo che sappia mettere in scena se stessa con tanta spregiudicatezza.
MEMORABILE: L'ingresso in scena di Oja, la sua ultima compagna.
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