Ray sviluppa l’idea di base di Le Retour à la raison, ma in chiave decisamente dadaista: un variegato ma euritmico carosello di forme geometriche, volti, immagini labirintiche, prospettive insolite, dove persino il semplice colletto di una camicia può diventare il perno per costruire intere sequenze cinematografiche. Le adattissime musiche sono vicinissime alle bizzarre sperimentazioni dei Nurse With Wound.
In forma di "cinepoesia" (o videoclip!) Ray racconta prima una gita balneare annunciata da un'insegna luminosa a cui segue il viaggio in auto e infine il mare, e poi una sorta di sogno di forme e luci della "città magica". Nonostante sia un corto, la noia incombente è spia di un'eccessiva lunghezza, soprattutto per l'autocompiacimento di lunghe sequenze di immagini astratte. Alcuni spunti sono interessanti, ma l'autore, grandissimo fotografo, come autore di cinema (ancorché sperimentale) lascia a desiderare in confronto ad altri sperimentatori.
Continua la sperimentazione dadaista di Man Ray al cinema con questo corto che vede come sfondo la gita balneare. A farla da padrone, oltre alla miriade di simboli più o meno decifrabili, c'è lo sguardo, o meglio il duplice sguardo rivelatore che apre al corso delle immagini offrendo punti di vista diversi dalla quotidiana realtà.
Espressività e un certo fascino folle non gli mancano. Si deve stare al gioco; è un altro uso del linguaggio filmico in cui evocare è la parola chiave. Siamo infatti nei territori della pura sperimentazione visisa ed è noto come le avanguardie storiche (qui tra dadaismo e prove generali di surrealismo) tendessero a vampirizzare ai loro scopi la tecnica cinematografica per una ricerca autoreferenziale e strafottente (nel senso migliore). Solo per esteti intransigenti.
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L’uomo con la valigia piena di colletti bianchi è interpretato dallo scrittore dadaista Jacques Rigaut (1898-1929), ai tempi noto proprio per la sua eleganza nel vestire.