Citizen verdict - Film (2003)

Ecco a voi la giustizia spettacolo: non solo "Un giorno in pretura", ma il pubblico che da casa si sostituisce alla giuria e col televoto decide se condannare (magari a morte) un imputato. Questo è "Citizen verdict" (il verdetto del cittadino), una trasmissione che in Florida si propone di trasformare i processi in autentici show ottenendo ascolti strabilianti e massacrando di fatto ogni ragionevole idea di giustizia. Dovrebbero forse poter giudicare la vita altrui persone che passano magari un minuto davanti al televisore e che del caso nulla sanno? Nel mondo reale no, naturalmente, ma questo è un film e allora fingiamo che si possa per capire cosa succederebbe. Col...Leggi tutto beneplacito del governatore della Florida (Scheider) si trasmetterà in diretta il procedimento contro un giovane (Degruttola) accusato di aver violentato e ucciso la celebre conduttrice d'uno show televisivo culinario. A difenderlo, un avvocato (Assante) che tenderebbe a credere alla sua versione dei fatti: la donna era la frequentatrice di un locale equivoco in cui l'aveva rimorchiato e in tre occasioni pagato prima di dedicarsi con lui ad amplessi sadomaso ad alto rischio l'ultima volta conclusisi in tragedia. Intanto la macchina per il grande spettacolo si mette in moto e assistiamo a interviste in cui alcuni esperti (o semplicemente gente comune) vengono interrogati sull'effettiva liceità morale dell'operazione. Per quanto poco credibile, l'idea è sfruttata inizialmente in modo intelligente e la tensione che si respira, mista alla curiosità e ai tormenti dell'avvocato difensore (che ha pure una barca chiamata "Best defense"), riesce a calarci piuttosto bene nella vicenda; con il gran capo creatore dello show (Springer) che fa il bello e il cattivo tempo e i due avvocati che si affrontano in aula seguendo uno schema canonico (oltre al solito ottimo Assante è buona anche l'interpretazione di Justine Mitchell nel ruolo dell'accusatrice). Qualche timido sorriso si prova all'entrata in scena del rozzo testimone, che sconvolge gli astanti rendendo una dichiarazione innocentemente volgarissima, mentre i collegamenti sono spesso interrotti dalle spiegazioni dei conduttori, con il giudice che cerca di rimanere impassibile di fronte a una pagliacciata senza precedenti. Poi però qualcosa comincia a non girare più a dovere e tocca sorbirsi l'inattesa svolta moralisticheggiante (d'altra parte i temi affrontati non sono leggeri come possono sembrare), che con un improvviso cambio di tempo rallenta i ritmi, si sofferma sugli sguardi carichi di dubbi, sulle angosce esistenziali del protagonista per aprirsi a un'ultima fase in cui le scene chiave si fanno volutamente strazianti e interminabili prima di un twist finale altamente prevedibile. Sui titoli di coda ci si chiede che senso abbia il tutto: se si volesse attaccare il moderno cinismo imposto dai media (obiettivo fin troppo comune), se commuovere, se portarci a ragionare su temi alti... Il problema è che la limitatezza dei mezzi si fa spesso evidente, dalla brutta fotografia alla povertà di tutti gli interventi grafici relativi alla trasmissione (riquadri, didascalie ecc.). Come cominciare bene e finire male insomma, anche se comunque le buone performance attoriali, associate a una sceneggiatura coerente col folle progetto della trasmissione, salvano relativamente il tutto. Alla minuscola parentesi hot si dedica la bella Dorette Potgieter in un ruolo doppiogiochista.

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