Peripezie di tre amici per la pelle, che da Hong Kong dove conducono una vita non troppo agiata decidono di inventarsi contrabbandieri e fare soldi lì dove regna il caos, e cioè Saigon. Siamo nel 1967, in piena guerra, e i tre finiranno braccati dai vietcong punto. L'ultimo grande film del periodo migliore di John Woo ad arrivare in Italia (merito di Telepiù) è uno dei suoi più osannati. La cura nelle riprese, nella ricca messa in scena, nella sfolgorante fotografia; l'attenzione riposta nel montaggio e nella scelta delle (splendide) musiche dal sapore epico sono la testimonianza dell'amore che il regista ebbe per questo suo apologo sull'amicizia tradita. Lo sentì più suo degli altri (e vi recitò,...Leggi tutto anche) forse per via di una storia dal respiro ampio, che parte in modo insolito (per Woo) e si trasforma in una straziante odissea capace, attraverso una repentina virata verso lo scontro a fuoco più classico, di riassumere l'inconfondibile stile del regista. Ritroviamo così gli insistiti ralenti (vero e proprio marchio di fabbrica), i violenti spargimenti di sangue, i primi piani sui volti martoriati da mille dubbi... BULLET IN THE HEAD, che ha una prima parte piuttosto debole con troppe divagazioni (vedi le scene al night e la figura stessa della cantante sfruttata dal boss), prende gradatamente forza fino a concludersi in un'apoteosi action girata con classe immensa. Buona la prova dei tre protagonisti (anche se per chi non è molto fisionomista riesce spesso difficile non confonderli), che nella lunga scena al campo vietcong contribuiscono alla resa di un “must” del war-movie. Scene di massa e preferenza per i campi lunghi.
Nonostante la differente ambientazione e collocazione temporale (guerra del Vietnam, 1967) questo è in tutto e per tutto un film di John Woo, con quello che ne consegue: amicizie sofferte, malavitosi, killer, azione da paura, amori contrastati, finale pirotecnico ecc. Si nota lo sforzo produttivo maggiore del solito (molte le scene di massa) e forse una componente melodrammatica più marcata del solito. Ma una volta detto che è un film di John Woo prima maniera, si è detto tutto.
MEMORABILE: La scena nel campo di prigionia, dove orrore (vero), azione e dramma si mescolano perfettamente.
Grandissimo film di Woo, forse tra i suoi migliori. Stavolta siamo in Vietnam e nonostante le numerose scene d'azione siano più vicine ad Il cacciatore che ad A better tomorrow; la violenza è forte e a tratti efficace (forse è il film più crudo di Woo) e si contrappone ad una prima mezz'ora preparatoria con i toni quasi da commedia (come faceva appunto Il cacciatore), aperta dalla versione strumentale di "I'm believer". Regia come al solito superba e un grande trio di attori. Imperdibile.
Uno dei film più sentiti di Woo, fra grandissima azione (e te credo) e narrazione epica, su sfondo storico (scontato ma ineludibile il richiamo al Cacciatore). L'innata vocazione al melò è qui all'apice, specie nel personaggio di Jackie Cheung, forse nella sua miglior prova (ma il resto della compagnia non è certo da meno). Forse la potenza fa premio sulla compattezza, e così per una incollatura stiamo sotto ai capolavori del maestro, ma certamente un grande film. E a non dire che molti darebbero una mano per girare certe scene...
Mi aspettavo un noir, mi son trovato completamente spiazzato. Fondamentalmente una storia di 3 amici, in realtà una scusa per mostrarci vari momenti storici, la repressione ad Hong Kong, la guerra in Vietnam con riferimenti anche a Tien An Men. C'è molta carne al fuoco, a volte anche troppa; ho avuto l'impressione di andare più da un ristorante "mangia a volontà, prezzo fisso" che da un delicatessen, però lo sforzo produttivo è notevole, anche considerato il basso budget.
Un Woo assolutamente strepitoso. Action al cardiopalma innestato su di un impianto melodrammatico imperniato su una toccante riflessione circa l'amiciza virile tra il trio dei protagonisti. Regia perfetta, ambientazione storica cruda e verista e ritmo che dosa sapientemente adrenalina e melò. Praticamente perfetto.
Nella canonica apologia dell’amicizia virile, aldilà dell’azione furibonda e rutilante, oltre lo smagliante impianto visuale, c’è il Woo più plumbeo e disperato: quasi un Jean-Claude Izzo naturalizzato ad Hong Kong. L’azione si sprigiona da elementi basilari e scevri ma è sempre spettacolare perché rimanda alla corpulenza epica del racconto. L’esasperazione dei toni, l’enfasi data allo schematismo narrativo, possono apparire, all’occhio occidentale, in odore d’infantilismo, ma il duello a passo di danza è rabbioso e affonda il tacco nel piombo e nella polvere. Sanguigno.
La sceneggiatura è un sistematico saccheggio citazionista di situazioni e figure del cinema occidentale, e si va disinvoltamente da Platoon a Il cacciatore a C'era una volta in America. A parte questo, la regia di Woo è coinvolgente come non mai, e si fa perdonare la scarsa originalità. Il tema dell'amicizia, e dell'amicizia tradita, emerge qui potente al di sopra del consueto, frenetico impianto di pura azione e spettacolo.
Bellissimo e commovente mix di dramma e azione; qui Woo parla di una vera amicizia fra tre uomini che si ritrovano in Vietnam per una serie di vicissitudini. Uno di loro tradirà gli altri e facendo scattare la vendetta. Tanta azione, grandissime scene, ottime interpretazioni, tanto ritmo e velocità (nonostante la durata) e più di un momento davvero commovente. Capolavoro di Woo.
Un insolito Woo che mescola una prima parte (la meno riuscita) per lui più tradizionale tra action e noir ad una seconda da vero e proprio war movie in cui mostra le più grandi efferatezze senza mai arretrare dinanzi a nulla. I temi sono quelli del suo cinema: l’amicizia, il tradimento, la vendetta a cui si aggiungono stavolta quello più generale della follia umana che trova la sua traduzione più piena negli orrori incomprensibili ed inenarrabili della guerra. Grandi capacità registiche, come sempre, ed anche quella di emozionare e di farlo non poco.
Film piuttosto nettamente diviso in due parti: la prima ambientata ad Hong Kong negli anni '60, racconta la giovinezza spensierata dei protagonisti ma sconta un tono un pò troppo leggero. Il regista devia poi molto abilmente su una seconda parte bellica, che si rivela un film totalmente diverso, crudo ed efferato con una netta simbologia da perdita di innocenze e non privo di rimandi a celebri opere precedenti. Assai efficace l'ambientazione vietnamita con il climax rappresentato dalle scene nel campo di prigionia. Un buon film.
Quasi una storia parallela a quella di A better tomorrow 3, con il suo rimbalzare tra Hong Kong e il Vietnam e una sottostoria d'amore simile; l'enfasi qui però è su altri lidi, quelli consueti per Woo dell'amicizia fraterna, del tradimento e della vendetta. Concepito come un film dal respiro epico, quasi a voler sfidare il gangster-movie americano alla Scorsese, il film di Woo come sempre eccelle in spettacolarità e violenza; lo script è però un po' troppo ambizioso e denota una scrittura a tratti dispersiva, anche a causa della lunga durata.
MEMORABILE: Il finale al porto, col parallelo dei 3 in bicicletta.
Leggenda vuole che John Woo abbia rischiato di rimanere ferito sul set, durante le riprese: questo può essere indicativo dell'estremismo e della violenza di questa potente pellicola, che oso definire di iperrealismo visionario. Credo che sia uno dei film dove ci sono più esplosioni e sparatorie di tutta la storia del cinema. Alla domanda "come è girato tutto ciò?" la risposta non può che essere "straordinariamente".
Una storia di amicizia e crimine con la guerra del Vietnam sullo sfondo in quello che è il film più ambizioso di John Woo, anche se non il migliore in assoluto a causa di una prima parte eccessivamente frammentaria e di qualche parentesi melodrammatica di troppo. Quando però l'azione entra nel vivo, tra incredibili scontri a fuoco al cardiopalma, si riconosce il marchio di fabbrica di un regista che nel genere non ha eguali, ma che comunque non riduce mai i suoi personaggi a semplici marionette. Gli attori e le musiche sono all'altezza, il doppiaggio italiano decisamente meno.
MEMORABILE: Lo scontro nel locale notturno; La prigionia nel campo e la successiva fuga; Il finale.
Tre amici vanno a Saigon per arricchirsi col mercato nero. Storia d'amicizia e di innocenza perduta, che parte con intenti scanzonati. Quando l'azione si sposta in Vietnam i toni diventano però cupi, anche oltre lo stile coppoliano. Woo dà il meglio nelle scene di massa e non lesina esplosioni e iperviolenza; il taglio della sceneggiatura a volte pregiudica il montaggio, che diviene repentino. Qualche esagerazione sparsa (la bottiglia di whisky scolata, la pallottola in testa, il teschio) si accetta con riserva. Musiche elettroniche non eccelse.
MEMORABILE: La liberazione della cantante; Le esecuzioni sommarie ai soldati americani; L’omicidio dell’amico.
Tre amici di Hong Kong (il divo Tony Leung, la popstar Jacky Cheung e il tenebroso Waise Lee) tentano di arricchirsi speculando sulla guerra in Vietnam; John Woo ambisce al ritratto generazionale attraverso i suoi temi portanti, riuscendo nell'impresa di forgiare un racconto epico e coinvolgente, dallo stile nervoso sia nelle sequenze d'azione coreografate (mai ambisce al realismo ma all'espressività) sia nell'introspezione. La resa è quella di un mondo che brucia mentre gli uomini vivono nell'attimo dell'unica verità possibile: i loro sentimenti.
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