In viaggio da Pechino a Shangai la fascinosa Shangai Lily ritrova una vecchia fiamma. Ma il viaggio non sarà piacevolissimo... Trionfo del kitsch austro-ungarico/hollywoodiano alla Sternberg, con Marlene battona di lusso, cinesi (falsi) cattivissimi come nelle più vecchie storie di Tex, e un erotismo morboso (per quanto anni '30...) in un bianco e nero fantastico. Verosimiglianza a zero, ma gran divertimento decadente.
La Dietrich in pelliccia, piume di struzzo che sfila sinuosa, sbilenca, forse ubriaca, lungo i corridoi dello Shangai Express, nel caldo languido di una Cina da bazar, annegata nelle ombre, tagliata dalle luci, raggirata dalle volute di fumo, è paradigma di assoluta dannata algida inarrivabile divinità; mentre dietro, dai finestrini chiusi dei vagoni stipati di scampoli umani, sbraccia il nulla delle azioni reiterate oltre ogni sensata plausibilità - il treno in partenza che non parte mai - dell’esotismo in cravatta e bric à brac; donne immense, uomini ridicoli et voilà les jeux sont faits.
MEMORABILE: "C'è voluto ben più di un uomo per farmi cambiare il nome in Shangai Lily"
Film opulento e magniloquente, diretto dal grande regista Josef Von Sternberg ed intepretato dall'icona Marlene Dietrich. In una cina clamorosamente posticcia e falsamente esotica, popolato da personaggi eccessivi, tutto il film è all'insegna dell'esagerazione ma il tutto è chiaramente dichiarato così da permettere allo spettatore di godere appieno della vera finzione cinematografica e di uno spettacolo datato ma contemporaneamente godibile.
La grandissima Marlene Dietrich al "servizio" di un grande regista quale è stato Josef von Sternberg. Storia drammatica che non cade mai nella lagna o nel troppo romantico. Non mancano i personaggi di contorno che fanno "nascere" sorrisi. Da vedere.
Se c'è un film in cui la storia è pochissima cosa e per giunta con una verosimiglianza pari allo zero o quasi, eccovi serviti. Ma cosa importa quando a far deflagrare lo schermo c'è il nitore ed il fulgore massimo della dea Marlene, diva assoluta, attorno a cui gira ogni atomo filmico, illuminata dalla prodigiosa fotografia di Lee Garmes (che vinse l'oscar) ed avvolta nei notevoli costumi di Travis Banton. E c'è anche da godersi la "solita" magistrale regia
di Von Sternberg che sa regalare inquadrature memorabili e curate in ogni minimo particolare. Concedete ai vostri occhi, questo piacere.
MEMORABILE: Lily Shangai che attende, nel suo scompartimento, l'arrivo di Doc; Il finale in stazione, con Doc che si imbarazza nel baciare Lily davanti a tutti.
Difficile inquadrare il genere d’appartenenza in modo chiaro e distinto, anche se la storia richiama al melodramma. Si percepisce la qualità della regia Von Sternberg, minuziosa e sopraffina, in grado di dire la sua anche a distanza di decadi. La Dietrich sembra nata per ruoli come questo e costituisce un elemento importante: difficile restare impassibili. Tutto ciò crolla però miseramente in quanto manca all’appello una sceneggiatura in grado di convincere fino in fondo. L’interesse che la vicenda è in grado di suscitare è prossimo al nulla e l’età anagrafica non è un’attenuante.
Sul treno Pechino-Shanghai una “costiera” rivede un vecchio ex fidanzato. Location da film da camera, o “da vagone”, per un drappello di viaggiatori in mezzo a una guerra civile. Il melodramma amoroso viene ravvivato dalle questioni sulla vita e la morte mentre qualche divagazione umoristica diverte. Le faccende politiche sono alquanto superficiali, come la fuga dai ribelli. La regia propone un certo ritmo e si segnala per i magnifici primi piani della Dietrich, insieme ai suoi outfit piumati.
MEMORABILE: Il baratto amoroso; La coltellata di spalle; Il bacio in nome di Confucio.
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