Anthonyvm • 12/04/20 02:10
Vice capo scrivano - 830 interventiCome spesso accade per le pellicole che si sono conquistate un’apparizione all’interno del rinomato
Mystery Science Theater 3000, punto di riferimento per molti trashofili, anche “Soultaker” è stato a lungo additato come uno dei peggiori film di sempre, figurando persino nella Bottom 100 dell’IMDb. In realtà, come spesso accade per queste povere pellicole, anche “Soultaker” non è meritevole della sua pessima nomea. Certo, non è neanche un buon film. Diciamo che ricade perfettamente nella definizione di prodotto mediocre, pur potendo vantare qualche scivolone nel ridicolo involontario che non mancherà di far sorridere gli spettatori meno seriosi.
A metà strada tra fantasy e horror, fra incidenti – quasi – mortali, sopravvissuti in fuga e cacciatori di anime implacabili, ci troviamo dinanzi a un modesto B-movie con qualche punto di contatto a pellicole precedenti (vengono in mente il
Survivor di Hemmings o
Ragnatela di morte) e anche successive (
Final destination), non memorabile ma neanche deprecabile.
Il prologo è addirittura promettente: seguiamo un misterioso figuro nerovestito (Joe Estevez) che si aggira in un ospedale, si intrufola nella stanza di un paziente intubato e, con un semplice tocco, lo uccide dopo una veloce ma intensa agonia (orchestrata angosciosamente con repentini stacchi in fase di editing). Uno strano flusso verde fosforescente à la Re-animator abbandona il corpo esanime della vittima e finisce nel palmo della mano di Estevez sotto forma di un anello. Terminato quello che sembra un macabro compito, il sinistro “assassino” esce tranquillamente dalla stanza e si allontana lungo il corridoio principale, scomparendo e riapparendo come una luce al neon. Evidentemente c’è qualcosa di non umano in lui, anche perché gli infermieri e i dottori che lo incrociano sembrano non notarlo affatto, e questo giochino di montaggio (Estevez che cammina, corridoio vuoto, di nuovo Estevez, di nuovo corridoio) dovrebbe accentuarne la natura ultraterrena. Il problema è che a ogni stacco sul corridoio vuoto l’illuminazione cambia leggermente, per cui, più che soffermarci sull’evanescenza della figura di Estevez, siamo più propensi a pensare che si tratti di una particolare (e ingenua) transizione sincopata fra due scene separate nel tempo.
Okay, è evidente che i valori produttivi non saranno esaltanti, ma si vede pure che Michael Rissi ce la mette tutta per evocare la giusta dose di tensione, sfruttando meglio che può le inquadrature, le soggettive e i lenti movimenti di macchina.
La storia comincia quando una cinquina di ragazzi, fra cui i nostri due protagonisti (Natalie e Zach, ex-fidanzati ma in fase di riavvicinamento), hanno un incidente di macchina che, in teoria, dovrebbe portarli tutti alla tomba. Questo almeno ha stabilito Robert Z’Dar, che (sfoggiando un’inconsueta chioma bionda a incorniciargli il caratteristico mandibolone) veste i panni di un angelo della morte. Il noto
Maniac Cop incarica Estevez, suo subordinato, di recuperare le anime dei giovani (questo non prima che il montatore ci stupisca con un’altra camminata lampeggiante dei due “soultaker”), i cui corpi riversano in stato comatoso ma sono inaspettatamente ancora vivi. Il problema è che Estevez, vedendo Natalie, ha una specie di flashback e riconosce nella ragazza la giovane da lui amata in una vita precedente. Cliché abusato di stampo romantico e vampiresco, che non aiuta a corroborare la figura di un villain già di per sé non eccelso (un paio di occhiaie e lo sguardo allucinato di Estevez non bastano a formare il carisma di un cattivo).
I ragazzi si risvegliano, inconsci della propria natura di fantasmi, e l’implacabile Estevez si mette sulle loro tracce, pronto a risucchiarli nei suoi temibili anelli (col solito effetto verde-reanimator).
Il resto del film, come si può immaginare, è un lungo inseguimento che toccherà diverse tappe (un minimarket a bordo strada, la casa di Natalie, e si concluderà in ospedale).
Qui lo script inizia a perdere colpi, esibendo buchi, imprecisioni e incongruenze a manetta.
In quanto spiriti, i ragazzi non possono essere visti né sentiti da nessuno, sebbene (come Patrick Swayze in
Ghost) siano in grado di toccare e spostare oggetti; anche se gli indizi a loro disposizione dovrebbero quantomeno insospettirli (il commesso del minimarket non risponde a nessuno dei loro richiami), prendono coscienza della loro condizione solo a mezz’ora dalla fine del film, quando Zach sente al telegiornale la notizia dell’incidente d’auto e del successivo ricovero in ospedale dei sopravvissuti, in condizioni critiche e tenuti in vita artificialmente. Adesso, l’obiettivo primario per Natalie e Zach è tornare nei loro corpi prima che i loro genitori acconsentano a staccare la spina dei macchinari (l’ora è fissata per mezzanotte).
Sembra un po’ strano che dei genitori amorevoli prendano una decisione così delicata a nemmeno ventiquattr’ore dall’accaduto, ma sorvoliamo.
Nel frattempo Z’Dar mette fretta a Estevez minacciando di punirlo se non riesce a portare a termine la sua missione, ma Estevez vuole prima convincere Natalie, di cui è perdutamente invaghito, di diventare come lui un angelo della morte e passare l’eternità a raccattare anime in sua compagnia. Zach, ovviamente, farà di tutto per impedirlo, aiutato da uno degli amici morti nell’incidente, già acchiappato da Estevez e divenuto soultaker a sua volta.
A questo punto non è chiaro come l’intero processo funzioni: perché Z’Dar vuole che Estevez recuperi le anime fuggiasche entro mezzanotte se quella è l’ora in cui, presumibilmente, i corpi verranno soppressi del tutto dai medici?
E che cosa succede se le anime non sono catturate in tempo? I morti non muoiono, tanto per citare Jarmusch? Oppure gli spiriti muoiono a loro volta, diventando spiriti degli spiriti come Homer Simpson ne
La paura fa novanta?
Perché alcune anime scelgono di diventare soultaker e altre no? Insomma, a sentire l’amico di Zach (che in tenuta da angelo della morte somiglia a Julian Sands in
Warlock) dovrebbe trattarsi di una specie di impiego… Come alternativa a un’eternità passata fra i tormenti infernali mi pare un’opzione vantaggiosa per tutti, quindi è difficile spiegare perché il mondo non pulluli di angeli della morte nerovestiti.
Perché a un certo punto lo spirito di Zach si trova a maneggiare i famosi anelli acchiappa-anime dei soultaker senza essere risucchiato a sua volta nel vortice verde come accade per gli altri?
Ma pazienza, alla fine nemmeno ci importa troppo di trovare le risposte a interrogativi così puntigliosi. Quel che conta è il divertimento.
E “Soultaker” è un film divertente, vero?
Non esattamente.
Certo, qualche sequenza è buffa (i tentativi dei ragazzi di farsi notare dai passanti o dal gestore del minimarket, che sfacciatamente si intasca davanti a loro le monetine del barattolo delle offerte) e gli effetti visivi datati (i flussi verde fluorescente) conservano intatto il loro fascino retrò e campy.
Ma il film in sé resta noiosetto e poco avvincente, e arriva persino a sfiorare fastidiosi e banali moralismi anti-eutanasia, quando l’anima di Natalie grida disperata ai medici (che ovviamente non possono sentirla) di non staccare la spina, perché lei vuole vivere.
Decisamente degna di nota, comunque, la sequenza in cui Zach e Natalie cercano rifugio a casa di questa e vengono accolti a braccia aperte dalla madre della ragazza. Sembra strano che la donna possa vederli, ma siamo ancora in fase di settaggio delle regole di questo strano universo metafisico, quindi possiamo pensare che la donna abbia particolari doti medianiche o qualcosa del genere. Le cose si fanno più bizzarre (e decisamente scabrose) quando sembra che la madre abbia sviluppato un interesse non proprio sano nei confronti di Natalie, specialmente quando la osserva spogliarsi mentre si prepara per un bagno. E quando l’immagine della donna non si riflette nello specchio (altro stilema vampiresco), capiamo che si tratta di Estevez sotto mentite spoglie.
Si tratta anche dell’unica incursione exploitativa del film, dal momento che sangue e violenza sono rigorosamente banditi.
Anche se il finale non presenta l’usuale cliffhanger annuncia-sequel, si è vociferato a lungo circa un seguito, che avrebbe visto Tibor Takàcs alla regia e, nel cast, nomi impensabili come James Earl Jones, Faye Dunaway e Donald Sutherland! Problemi di fondi fecero naufragare il progetto, che oggi sopravvive sotto forma di romanzo (“Quietus”, uscito nel 2002).
L’autrice del suddetto romanzo (nonché della sceneggiatura del primo film) è la stessa Vivian Schilling che nel film interpreta la protagonista Natalie. La ragazza si è a quanto pare ispirata a un incidente di macchina nella quale era stata coinvolta alcuni anni prima.
In definitiva, un filmetto non brutto come talvolta lo si dipinge, ma tutto sommato trascurabile. Qualche accanito consumatore di horror anni ’80 potrebbe trovarlo un vago passatempo.
Anthonyvm