Buiomega71 • 11/06/16 10:08
Consigliere - 26027 interventi E qui si vola alto, perché il cinema sudamericano (in questo caso cileno) ha una forza e una dirompenza che sta emergendo in tutta la sua furia.
Talentaccio sanguigno e irrequieto, il giovane Patricio Valladares (che scrive, dirige, monta, produce, si ritaglia il ruolo del campeggiatore scemo e scorreggione-che farà una brutta-bruttissima-fine, autore col dna immerso nel grindhouse e nel cinema di de-genere e amico del nostro Loris Curci) che mette in piedi un racconto disperato, feroce, nichilista, immerso nello squallore e nel degrado, dove vigono la legge del più forte - e del più ferino - tra stupri, prostituzione, pedofilia, narcotraffico, esplosivi geyser di sangue, banchetti cannibalici, sparatorie devastanti, cacce tra i boschi, degenerazione fino al massacro finale di rara potenza visiva e emotiva, dove il sangue schizza e macchia, i colpi in arrivo devastano corpi e tutto diventa rosso e cieco di rabbia.
Due ragazzine (Ana e Anny, bravissime le due attrici protagoniste) vivono in una catapecchia in mezzo ai boschi, vessate da un padre rozzo e bestiale, che uccide loro la madre annegandola in un catino d'acqua vivendo di narcotraffico al soldo di zio Costello, spietato cartello della droga.
Il degrado (sia fisico che mentale) spinge il padre ad abusare della figlia più piccola (in una scena davvero insostenibile, non perché si veda chissaché ma per come Valladares mostra la scena: il padre che entra nella lurida camera delle bimbe, accarezza - con ben pochi istinti paterni - la bambina che dorme, Valladares mostra la bambola della bimba e un foglio con su scritto AUGURI PAPà), mettendola incinta e partorendo - come una bestia - un ritardato freak - Manuel - che mangia solo carne cruda.
Il tempo passa e una soffiata incastra l'uomo e le due ragazze (ormai cresciute), con il figlio/fratello freak, fuggono nei boschi.
Non solo non sanno di che vivere, ma zio Costello va su tutte le furie, vuole la sua droga che pensa sia stata nascosta dall'uomo tramite le figlie e sguinzaglia i suoi sadici e sanguinari tirapiedi.
Le ragazze trovano una baita sudicia, in mezzo ai boschi, per cercare di sopravvivere e mentre Ana si avvia alla prostituzione (non prima di cibarsi della spazzatura agli angoli di miseri vicoletti) per sostenere la sorella e il fratello freak, Anny sfoga il suo cannibalismo su due campeggiatori imbecilli che tentano di violentarla.
Tradita da un cliente respinto innamorato di lei che spiffera alla gang di zio Costello dove vive la giovane, Ana si trova nella baita gli scagnozzi di zio Costello e nel frattempo il padre è riuscito a evadere di prigione (con un espediente pari ad una resurrezione "zombesca", sullo stile del primo segmento di
Creepshow)
Da qui in poi Valladares satura il narrato di belluina violenza - non che prima ci andasse giù tenero - tra morsi laceranti, colpi in arrivo devastanti e inseguimenti nei boschi, fino al massacro finale a casa di zio Costello, con sanguinosissima resa dei conti e colpo di scena sulla vera natura di Anny. Poi una chiusa straziante, quasi poetica, sicuramente liberatoria dopo tanto orrore, sulle bellissime note di "Bloodspill".
Il gangster-movie tarantiniano/rodrigueziano si amalgama con il cannibalismo ancestrale e la disfunzione familiare di
We Are What We Are (di cui sembra una versione pulp e grindhouse), con pasti antropofagi che paiono quelli di
Cannibal Love (e appunto quello del finale/apocalittico/cannibalico di
We Are What We Are), la mattanza boschiva (con fucilate che aprono gli stomaci) hanno l'acre puzzo di sangue e polvere da sparo che c'era in
Kichiku dai enkai, le marchette di Ana si riducono (perlopiù) a squallidissime fellatio, fatte in parchi desolati o in laidi bagni pubblici. Lo sperma che ingoia viene sputato, così da mischiarsi al sangue e alla carne (il primo che tutto imbratta, la seconda dilaniata a morsi).
Una incauta poliziotta fatta a pezzi con la motosega, i flashback torbidi dell'abuso paterno e del parto "bestiale", la follia psicotica dei narcotrafficanti (e qui Valladares carica un po' troppo, visto che uno dei criminali fa saltare la testa alla barista perché trova di "mierda" la tequila, o la scena dell'aggressione in carcere modellata su quella di
Vigilante), la ferocia femminea delle due sorelle, che messe all'angolo, sfoderano il loro gusto per la carne umana (che Valladares non spiega), la macelleria nella dimora di zio Costello e quel finale toccante (ma che potrebbe essere anche onirico) in riva al mare che è forse l'unico momento di tenerezza del film (anche se le acque si colorano di sangue, quel sangue che e stato protagonista per quasi tutto il film).
Il basso budget aguzza l'ingegno di Valladares, che gira spesso camera a mano per aumentare il senso di disagio e disperazione o immerge il tutto nell'assolata fotografia di Thomas Smith, dove il caldo, la puzza. la bestialità (dis)umana la fanno da padrone.
Regista che già amo, e che non per nulla verrà chiamato dalle sirene hollywoodiane per farne un remake nel 2014 con Michael Biehn nel ruolo del padre/bestia. Non saprei, ma già vedendo alcune immagini mi pare che il remake sia meno viscerale (esempio, il frutto dell'incesto pare un bambino normale, mentre qui è un vero e proprio mostro che sembra il cugino della
Jenifer argentiana).
Curiosamente, sui titoli di coda, oltre che alla sua famiglia, Valladares ringrazia pure
Splattercontainer.com. Così come fà uno strano effetto vedere zio Costello solo in casa sulle note della versione ispanica di
Non ho l'età di Gigliola Cinquetti suonata alla radio
Pare di tornare ai fasti di
La Casa,
Interceptor,
Bad Taste, con tante idee, momenti di gran cinema, il grezzo che si fa virtù e olezzo di cult-movie (che per me già lo è).
Consigliatissimo, senza se e senza ma...
Buiomega71
Schramm