Alex75 • 29/04/16 17:59
Call center Davinotti - 710 interventi Pigro ebbe a dire:
"Arancia meccanica" non è un film sulla violenza: chiaro che se lo si vede per quello o per il suo maledettismo, allora ha ben poco senso.
E' un film fastidiosamente incompatibile con le regole del buon cinema: ogni elemento è incongruo, sovrabbondante o deficitario, inappagante sia nel senso del piacere che della provocazione. E' un film sbilanciato, senza capo né coda, straniante, fuori dagli schemi di come deve essere fatto un buon film.
E proprio per questo è semplicemente straordinario: perché tratta la complessità della riduzione della società a meri rapporti di potere, violenza psicologica e condizionamento, secondo schemi che sfuggono a qualsiasi addomesticamento.
"Arancia meccanica" è un unicum: se qualcuno tentasse di seguirne lo stile farebbe una cialtronata. E anche il suo essere un unicum è qualcosa di straordinario.
Infine, oggi "Arancia meccanica" è forse ancor più potente di quando uscì. All'epoca fece sensazione la descrizione delle violenze teppistiche e di alcune scene "forti": oggi sono proprio l'intera costruzione convulsa e disagevole e la complessità profonda a emergere alla grande. Forse perché mi occupo di teatro, ma solo dopo aver attraversato il grande teatro inglese degli anni 90 di Sarah Kane & co questo film acquista per me un valore di allucinata profezia davvero stupefacente, in tutta la sua irriducibile e voluta sballataggine.
Quando lo vidi per la prima volta (al cinema, nel ’98), fin dalle prime scene mi resi conto che era un’opera che non poteva essere ricondotta a nessun genere e a nessun altro film, per il linguaggio (il primo impatto col gergo di Alex fu quasi uno shock), ma soprattutto per l’anormalità che si percepisce quasi a ogni fotogramma (persino il piatto di spaghetti che Alex mangia al cospetto dello scrittore ha un che di irreale), e per alcune soluzioni visive (penso all’orgia accelerata e all’epilogo dell’irruzione nell’abitazione della “gattara”) e sonore (penso agli effetti con cui vengono enfatizzate le manganellate che Alex subisce dagli ex compagni) E poi, certo, le scene di violenza, fisica e psicologica, soprattutto nella seconda parte (mi misero particolarmente a disagio, oltre al pestaggio che Alex subisce dagli ex drughi, la presentazione pubblica dell’efficacia del metodo Ludovico, e la cena a casa dello scrittore, con quel raggelante “son buoni, almeno?” pronunciato da Magee). Eppure, malgrado l’apparente assurdità e l’estraneità a qualsiasi schema, il film di Kubrick suscita domande “pesanti” e affronta questioni fondamentali (il libero arbitrio, la violenza individuale e quella delle istituzioni…)
Credo che, per comprenderlo e apprezzarlo appieno, richieda ripetute visioni.
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