Preziosissimo e intenso cinema "teatrale", purtroppo messo nel dimenticatoio (la recensione di
Ciak del dicembre 1986 lo salutava, a ragione, come un piccolo gioiellino), prime prove del Sundance redfordiano, penetrante e avvolgente cinema d'attori (il cast è a dir poco straordinario, difficile nominare la performance più acuta e incisiva), zeppo di dialoghi scoppiettanti, situazioni drammatiche e momenti di leggiadria narrativa che scaldano il cuore.
Un vero peccato che Corr (sceneggiatore e documentarista) non abbia proseguito la carriera cinematografica, perchè il suo stile di regia ha un tocco sensibile e delicato, che sa donare sprazzi di gran cinema.
Nella Las Vegas del 1950 vive una famiglia che passa la quotidianità tra alti e bassi, sotto l'ombra di prossimi test nucleari (attesi spasmodicamente come se fosse una specie di evento cristologico), e non può che rammentare la cittadina prossima ventura del remake ajano de
Le colline hanno gli occhi
Tutto filtrato attraverso gli occhi (e gli occhiali) di una ragazzina che stà diventando donna (bravissima Annabeth Gish), a suo modo ribelle e insofferente allo stato "dittatorio" del patrigno (un Jon Voight tanto strepitoso quanto sgradevole), reduce di guerra un tantino squilibrato e attaccato alla bottiglia, che si divide tra una moglie con le fette di salame sugli occhi (immensa JoBeth Williams ex mamma Freeling) e una zia prorompente e disinibita (Ellen Barkin stupefacente, agghingata in vestiti sexy e deliziose scarpine-e zoccolette- col tacco)
Corr costruisce una piccola storia americana densa di emozione e di vibrante intensità, dove dramma, commedia, formazione adolescenziale, gelosie, rancori e scenate madri si mischiano dando vita a una trascinante "sit-com" dei (ri)sentimenti che conquista per il suo realismo e per la sua vitalità.
Da antologia gli sbrocchi di rabbia coniugale di Voight (i piatti sporchi nel lavello della cucina, la radio riparata, la zuffa nel prefinale tra lui , la moglie e la cognata, la stessa JoBeth Williams che diventa una furia incontrollata dettata dalla gelosia), lo stesso Voight preda degli insanabili incubi post-bellici (a casa sua si crede ancora a battagliare a Bastogne contro i tedeschi), la Gish presa a schiaffi e che imbraccia il fucile (da segnare sul taccuino la battuta che le fa un grande Allen Garfield alla festa del ballo, dove lei porta gli occhiali da sole per nascondere i lividi all'occhio che le ha procurato Voight prendendola a sberle, e dove Garfield mangia la foglia: "
Sei una diva di Hollywood? Posso avere un'autografo?", lei : "
Sono stata dall'oculista", lui: "
Tutto bene a casa?"), fino alla fuga notturna nel deserto controllato dai militari.
Drammi che si spezzano, poi, in momenti scoppiettanti (la Gish che balla con la Barkin in salotto, la festa con la rumba, le calze di nylon per vedere se sono smagliate, la nuotata in piscina dove la ragazza perde in acqua l'imbottitura del seno, la gara di spelling, le confidenze con la zia) che bilanciano perfettamente l'opera tra melodramma e commedia femminile, per poi intonare
Over the rainbow.
Notevole l'inizio con la visita oculistica e finale suggestivo di grande bellezza, con il fungo atomico che brilla sopra le montagne della piccola cittadina, visto da tutta la famiglia sull'uscio di casa e anche attraverso le lenti scure degli occhiali di Rose.
Cosa non è, poi, la magnifica fotografia di Reynaldo Villalobos.
Un piccolo grande film che scalda l'animo, vivamente consigliato per chi ama un cinema che sà raccontare, delicatamente, le gioie e i dolori della vita di tutti i giorni con un pizzico di
The day after.