Da "Conversazioni in Sicilia" di Vittorini: un uomo torna al paese e incontra diverse persone. Un cinema elementare e una recitazione da teatro dopolavoristico sono al servizio di un'operazione intellettuale spiazzante. Le cantilene degli attori non professionisti puntano verso un cinema popolare, che viene però contraddetto dalla grammatica filmica non popolare. Eppure quelle cantilene rimangono impresse, mentre la madre (Angela Nugara) recita come un'arcaica cantastorie con un ritmo da narrazione epica. Genialità o velleitarismo snob?
Anti-spettacolari per vocazione, Straub-Huillet anticipano la Sicilia ciprìota: ma la loro disperazione è compressa, mai sbraitata; mineralizzata, non melodrammatica; terrigna, non grottesca o surreale. E così il loro cinema: aritmico, roccioso, schivo e tutt’altro che incline alla captatio benevolentiae, scevro di civetterie estetiche, abdica a ogni tentazione espressionista, se ne infischia della bravura d’attore o di sfoggiar cultura, scansa la voluttà quando sottrae o tende al corto-circuito comunicativo e linguistico. Imbarazzante da stroncare come da esaltare.
La coppia formata da Danièle Huillet e Jean-Marie Straub elabora le "Conversazioni in Sicilia" di Elio Vittorini e sforna un film ostico e minimalista che racconta la storia di un viaggio alla ricerca della figura materna nella terra natia. Il bianco e nero e lo stile di recitazione ricordano il cinema di Ciprì e Maresco ma senza gli eccessi e la carica grottesca che contraddistingueva il cinema dei registi siciliani. Quello che esce fuori è un ritratto inusuale e misterioso di un popolo ancorato da secoli alle proprie tradizioni. Un film complesso e particolare.
Notevole, sebbene difficile da amare e da giudicare. Lo si direbbe neorealismo caricaturale (le interpretazioni degli attori, non professionisti, sono così innaturalmente calcate da non poter essere prese sul serio), ma la Sicilia arcaica, deferente e illetterata della coppia Huillet-Straub non ha nulla del deforme nichilismo, né del grottesco pietismo di Ciprì e Maresco. È, piuttosto, un proscenio odeporico sul quale sfilano sagome di omini educati atavicamente alla recita della vita: un'operazione persino neoumanista che, seppur tra qualche lungaggine, sprigiona un certo fascino.
Un grottesco e spiazzante sguardo sull'idea di una Sicilia stereotipata e ristretta alle verbosità dei personaggi che, in un italiano ottocentesco verniciato di inflessioni dialettali, sciorinano inconsistenti assiomi di cui si riconosce a malapena l'origine letteraria. Una recitazione assai deludente provoca un mix di imbarazzo e sconcerto, gabellata forse per verismo vecchio stampo e di cui non si intuisce lo scopo. Interessante il b/n che rimanda (forse) a un documentarismo d'inchiesta. Può accostarsi a Ciprì e Maresco, ma senza la loro fantasia dissacratoria.
Minuto 20: lunga panoramica a destra, stop, ritorno verso sinistra, stop, identica lunga panoramica a destra, stop, ritorno verso sinistra. Basterà per capire come sia un film narcisisticamente fatto solo per sé stessi. Recitazione talmente e ridicolmente calcata che non può non essere voluta (il che riporta al narcisismo prima citato). Prodotto micidiale e insostenibile, che rende grottesche le situazioni che - in teoria - sarebbero narrativamente naturalistiche. Terribilissimo, su tutto, l'interminabile dialogo madre-figlio. Cosa avrebbe detto Vittorini nel vedere un "film" simile?
NELLO STESSO GENERE PUOI TROVARE ANCHE...
Per inserire un commento devi loggarti. Se non hai accesso al sito è necessario prima effettuare l'iscrizione.
In questo spazio sono elencati gli ultimi 12 post scritti nei diversi forum appartenenti a questo stesso film.
DISCUSSIONE GENERALE: Per discutere di un film presente nel database come in un normale forum.
HOMEVIDEO (CUT/UNCUT): Per discutere delle uscite in homevideo e delle possibili diverse versioni di un film.
CURIOSITÀ: Se vuoi aggiungere una curiosità, postala in Discussione generale. Se è completa di fonte (quando necessario) verrà spostata in Curiosità.
MUSICHE: Per discutere della colonna sonora e delle musiche di un film.
ricordo che mi affascinò, in parte, la propensione all'antispettacolarità, a un'inconsumabilità incompromissoria che però al tempo stesso mi fece anche accomodare tra le parole mai e più. perché è un cinema che non si lascia mai consumare ma nel frattempo consuma. tempo prezioso anzitutto, senza darti in cambio emozione o gratificazione estetica, a parte qualche prurito intellettivo qua e là o in linea di massima. tuttavia ricordo che il me di allora lo trovò a suo modo interessante proprio perciò. o meglio trovò interessante questa irriducibilità oltre la quale però non c'è gioco, non c'è gara, non c'è in un certo senso neanche più cinema. ciò non di meno non ho mai udito nessuna cellula del mio corpo invocare un bis o sussurrarmi "dai, proviamo con un altro loro". c'è chi li trova monumentali, ineffabili. io non sono tra questi. una clastìa deve sapermi emozionare, scuotere, stravolgere e non è questo il caso.