Ho sempre pensato che i vecchi leoni di Hollywood , una volta caduto il famigerato codice Hays, ci abbiano dato dentro con opere dure e spietate, infilandoci perversioni e violenze ben più audaci di certi prodotti cosidetti "exploitation" , rifacendosi un pò del tempo perduto e delle maglie della censura che li inibivano in passato.
Mi vengono in mente il buon Hitch con
Frenzy, ma anche il William Wyler de
Il collezionista e
Il silenzio si paga con la vita, e anche George Cukor si libera dei paletti frustranti del codice del buon gusto forzato, dando sfogo a perversioni e promiscuità sessuali da far venire un coccolone ai puristi dell'autore di
Angoscia, prima delle pacchianate fantasy/farlocche del
Giardino della felicità e di quel gustoso e seducente testamento che è
Ricche e famose
Ed ecco che il leone di Hollywood, il raffinato regista delle donne, in quest'opera adottata per scommessa, ci infila senza remore: bambine prostitute pastrugnate da laidi pedofili, omosessualità ben poco latente (il Toto di Cliff Gorman, le odalische e Philippe Noiret en travesti), feticismo per gli autoreggenti (Dirk Bogarde vuole che la volgare prostituta egiziana non si levi le calze perchè è più eccitante), incesto (il rapporto fratello/sorella che sfocia in passione morbosa), sputi in faccia al sangue (Forster a Vernon), una delirante festa in maschera che per poco non si muta in orgia (e Cukor conosceva bene i mega festoni hollywoodiani a base di marchettari), dove il grande regista pare anticipare quella di
Eyes Wide Shut, la lascività sessuale della Aimèe (che si porta a letto tutti), con un nudo quasi integrale sul bagnasciuga che pare un esoticoerotico massaccesiano, la lussuriosa leccata che dà a Michael York per pulirlo dalla bocca sporca di zucchero, le represse voglie voyeuristiche di John Vernon, Anna Karina (di una bellezza folgorante) che si esibisce in danze nel ventre in locali equivoci, prostituendosi con vecchiacci, facendosi palpare in ogni dove da alcuni marinai, e bersaglio di uno scherzo atroce che le procura forti crampi allo stomaco, fuggendo, tra risa di scherno, per le viuzze malfamate della città egiziana che sembrano quelle italiche di perdizione e depravazione ritratte da Mike Nichols in
Comma 22, tradimenti, corna, seduzioni omosex, York che ha sete della Aimèe appellandola con il nome di "sgualdrina" e lei che lo provoca, mentre il marito li spia con un binocolo da astronomo dalla terrazza, il tutto incorniciato dagli interni esoticheggianti kitshissimi e rococò dove salta fuori il gusto eccentrico del regista del
Diavolo in calzoncini rosa
Iniziato da Joseph Strick (dopo la defezione di Joseph L. Mankiewicz, regista inizialmente designato e non convinto del progetto) che vuole girarlo in esterni, in Tunisia, e ripudia, con fermezza, il cast impostogli dalla Fox, ma desidera ardentemente Glenda Jackson nel ruolo di Justine.
Niente da fare, Justine deve essere Anouk Aimèe. A malincuore Strick accetta, ma non sopporta il resto degli attori (la Karina disse che si addormentava quando era diretta da Strick) e le litigate furiose con la Aimèe sono all'ordine del giorno.
I continui litigi tra Strick, la Aimèe e i dirigenti Fox spodestano il regista del
Tropico del cancro. George Cukor viene chiamato per prendere in mano il film (già travagliato), rigira completamente alcune sequenze e ambienta il film tutto in interni hollywoodiani (come di sua consuetudine) e tiene le scene in esterni girate da Strick (difatto si nota il cambio di mano, tirate via le scene in esterni, con Robert Forster novello Zapata, che fa sembrare il film una sottospecie di "tortilla western" sulla rivoluzione messicana-bruttissimo il suo agguato nel mirino del cecchino- o il taglio dell'orecchio ad uno dei suoi sottoposti, reo di rubare le armi destinate ai palestinesi, mentre quelle in interni girate da Cukor sono raffinate e al contempo decadenti, che mostrano il gusto barocco del grande vecchio di Hollywood-quella della frivola e sfarzosa mega festa in maschera ne è un esempio calzante-)
Il montaggio originario durava oltre le tre ore, Cukor lo riduce sotto le due ore. Cosa abbia lasciato fuori (con una folta narrazione di personaggi, tra trame e sottotrame) è difficile dire (visto la mole da "kolossal", che oltre alle sofferenze e pene sentimental/sessuali dei protagonisti, tira pure in ballo la guerra in palestina e la religione). Nelle interviste, Cukor, è sempre stato sul vago, manifestando ben poco entusiasmo per il film, spesso nicchiando quando si toccava il tasto
Justine.
Finchè il grande George saltella tra storie di tradimenti, rapporti sentimentali e sessuali tra i protagonisti (York stà insieme alla Karina, ma piglia la scimmia per la Aimèe, la Aimèe si fa sbattere da tutti, il marito Vernon stà a guardare come un becco, Bogarde viene sedotto e irretito, ma pensa solo alla sorella, la Karina c'ha un'amante vecchio e morente a cui stava insieme solo per soldi, e nella vita ha provato di tutto e di più), poi, però, viene alla luce una sottotrama spionaggistica (il traffico di armi destinato ai palestinesi che combattono contro gli inglesi) e pseudoreligiosa (i cristiani copti contro i musulmani) che annaquano un pò il tutto, facendo calare l'interesse, sforando spesso nella noia, in una macchinosità narrativa di cui si perde di interesse (consolati, ambasciatori, doppigiochi, corruzione, "terrorismo", rivoluzionari e colonialismi in zona
Sangue misto, e la Aimèe che usava il suo corpo per la giusta causa)
Ci si perde in questo pastrocchio da intrigo internazionale, che sfuma anche i rapporti malsani (e morbosi) tra i protagonisti.
Ne esce quindi un film "freak", bizzarro e sgangherato (il botteghino, all'epoca, non ha ripagato) che vive nei suoi fulgidi momenti di vizio e passione, ma va alla deriva quando tocca temi da datatissimo (e tronfio) giallone politico (con derive, ben poco interessanti, nella religione).
Anonima la colonna sonora di un grande (altrove) Jerry Goldsmith e gran suggestione nelle immagini di Leon Shamroy
Notevole l'incipit, con primi piani sullo sguardo e sul volto della Aimèe, in un gioco di rimandi quasi psichedelico, che sembra di vedere l'inizio di un thriller di Sergio Martino o di Luciano Ercoli.
Resta l'arditezza cukoriana sull'immoralità sessuale che avvolge i protagonisti, alcune steccate crudeli e le meravigliose scenografie degli interni, tra lo stile liberty e l'esoticità tipica dei prodotti hollywoodiani.