Sceneggiato dal grande scrittore Queneau (in versi), è un notevole corto di stampo documentaristico in cui si segue la produzione della plastica e la sua colorazione. Come già in altre occasioni, anche qui Resnais riesce a coinvolgere grazie all'ottimo ritmo che punta su immagini belle e veloci che si susseguono velocemente sullo schermo. Così anche i procidementi del lavoro industriale, palesano un fascino non indifferente. Lussuosamente fotografato da Sacha Vierny. Vale i venti minuti di visione.
Un documentario davvero originale, direi esemplare, non tanto per il soggetto (il processo di lavorazione della plastica), quanto per la notevole combinazione tra una cura visiva eccellente (per sensibilità grafica dell’immagine, per gusto cromatico, per qualità dell’inquadratura e della fotografia) e il superlativo commento in versi rimati di Queneau, che infonde nel corto una garbata ironia fino a strappare più volte il sorriso per l’arguzia di certi passaggi. Poesia industriale da caffè parigino... Da vedere.
Si può fare un cortometraggio interessante e avvincente sul processo di produzione della plastica? La risposta è sì, se in cabina di regia troviamo Resnais e se come voce narrante abbiamo nientemeno che Queneau. A confronto l'odierna serie televisiva Come è fatto? (How it's made?) perde ampiamente il confronto. Cinema e poesia allo stato puro.
Documentario dedicato alla lavorazione e alla produzione dello stirene, girato con stile originale da Resnais che sfrutta un testo, in rima nella lingua originale francese, recitato da Queneau. Il lavoro dura circa un quarto d'ora che, grazie alla capacità registica di Resnais e alle belle immagini, scorre via velocemente, nonostante un soggetto tutt'altro che affascinante per il grande pubblico. ***
Il gioco di parole nel titolo ci introduce alla bizzarra natura di questo breve documentario: il processo di produzione della plastica non viene solo documentato, ma assume anche una sfumatura epica tra la citazione di Hugo iniziale e la narrazione in versi alessandrini composta da Queneau. Eccellenti i vividi cromatismi della fotografia, molto gradevole l'ironia che pervade l'intero cortometraggio.
Carino il gioco di parole "Sirène/Styrène". Cromaticamente molto interessante, è abbastanza divertente nel farci vedere (se non sbaglio) la produzione di quello che, quand'ero bimbetto, chiamavamo "Moplèn". Immagini vivide paiono umanizzare oggetti inanimati e persino stabilimenti industriali. I pochi uomini che si vedono, invece, paiono macchine. "Nulla si crea e nulla si distrugge"...
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