Da salvare c'è sicuramente l'impianto visivo, perché la gestione di luci e ombre, la fotografia, la scelta delle inquadrature e i begli scorci di Polonia che vediamo sono chiaramente opera di chi possiede una sensibilità non comune, sensazione acuita dalla scelta di una colonna sonora ritmica, ossessiva, che ben si sposa alle immagini e contribuisce profondamente a caratterizzare il film. A non convincere attatto è la narrazione, la singolare "love-story" tra un giovane antropologo che sta studiando in ospedale la mummia di uno sciamano e un'universitaria che pare posseduta dagli stessi spiriti che la mummia avevano forse ispirato: i due s'incontrano...Leggi tutto e nel giro di cinque minuti stanno già facendo sesso (anche se lei non pare esaltamente "coinvolta"). Per tutto il film i due si accoppieranno in ogni modo e in ogni luogo possibile, mentre la regia di Zulawski tenta di restituire con movimenti frenetici e macchina a mano la travolgente quanto incontrollata carica della ragazza, che pare davvero posseduta e lontana dalla libidine spinta comunque dalla razionalità di lui. Accettare un film così significa accettare l'intero cinema di un regista che pare a sua volta immerso nella follia della protagonista fino all'inatteso epilogo "cannibale". Senza una vera storia o quasi, dialoghi spezzati o minimali, con improvvisi barlumi di lucidità (il racconto del fratello prete).
Sintesi perfetta del cinema di Zulawski: quasi senza trama (ma ciò non sarebbe un difetto), urlato, chiassoso, fumoso (di sostanza ce n’è quasi sempre poca), inutilmente ipertrofico, gratuitamente eccessivo (che c’entra il finale?), presuntamente erotico e così via. E allora? Monopalla? No poiché come spesso gli accade, il polacco salva tutto dal baratro grazie al suo talento visivo, esaltato da una bella fotografia. Troppo poco? Di sicuro per chi non ama o almeno apprezza il suo cinema: ne stia alla larga. I fan invece possono avventurasi.
Il sesso è un pendolo che oscilla misticamente e medianicamente tra un Bertolucci isterico e un Oshima antropofagico. Lo spettro del falso iato tra Lech Walesa e la new wave comunista ammorba una Varsavia dipinta a crudo come già Berlino in Possession, spoglia e livida; la coppia scoppia termonuclearmente, mentre lo sprezzo sarcastico per un potere clericale tutt’altro che simbolico è assistente al montaggio oltre che co-sceneggiatore. Tra carrellate non meno convulse di acting e dialoghi, un ultimo Andrej in riconfermata ottima forma prima del progressivo ripiego verso la più tiepida maniera.
Sciamana o mantide religiosa? Nella folle corsa a ritmo di tamburi tra ricerche su un corpo ritrovato (dove - ridicolo - si trova ancora tra le chiappe "sperma" femminile), malati di mente, colate di acciaio con stantuffi, si ritorna sempre lì: al sesso. Zulawski si diverte, a spese del povero spettatore, a sciorinare sconclusionatamente le sue idee sulla vita e sul cinema, a mio avviso con poco rispetto verso tutti. Con o senza mutandine, la sciamana è sempre pronta, consapevole che alla fine, in un modo o nell'altro, la farà pagare a tutti.
Miscuglio d'autore che cerca di sedimentarsi nella mente ma non trova un messaggio credibile e rischia di indisporre con la sua ripetitività e per l'acting tarantolato di lei. Ti entrano le musiche, ispirate ai ritmi tribali e qualche quadro corale di grottesca e sofferente umanità. Anche il ritmo non è male ma, ripeto, se riproponi sempre la stessa salsa ben presto il giochino non prende più.
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